Regione: Piemonte
Zona di produzione: Comune di Caraglio, nella zona pedemontana della Valle Grana (Cuneo).
La storia dell’aglio di Caraglio, chiamato localmente Aj ‘d Caraj, è l’esperienza della mia famiglia. La coltivazione dell’aglio a Caraglio era confinata negli orti famigliari, nelle vigne della zona della collina del Castello e altre zone limitrofi. La produzione in eccesso veniva venduta nei mercati contadini di un tempo. Purtroppo le vigne, che nel passato avvolgevano tutta la collina e gran parte della pianura ai suoi piedi, per varie cause come il benessere e l’emigrazione dei contadini verso le fabbriche (redditi più sicuri e stabili) nonché per le difficoltà logistiche di coltivazione date dalla localizzazione dei terreni in luoghi difficili, vennero abbandonate, divelte e lasciate alla mercé della natura. Con loro sparirono anche le coltivazioni intercalari quali, appunto, l’aglio, la lenticchia.
Poi, come è risaputo, l’aglio degenera rapidamente se coltivato senza rotazione agraria e nel medesimo terreno per più anni: una pratica anch’essa abbandonata.
Infine dell’aglio di Caraglio, sino a circa dieci anni fa, veniva ricordata solo più una conosciutissima filastrocca popolare che veniva rivolta, con ironia, verso questo paese e i suoi abitanti (a Caraj l’an piantà ij aj, l’an nen bagnaj e ij aj son secaj (a Caraglio hanno piantato l’aglio, non lo hanno bagnato e l’aglio è seccato), fondata sulla rima tra il nome della popolare erba aromatica e il piccolo paese di Caraglio.
Ma tutto questo non venne mai collegato alla sua passata coltivazione ortense. Fino a quando, un giorno, durante una chiacchierata con un agricoltore caragliese, sulla bontà delle vecchie e tradizionali coltivazioni, citò della conosciuta delicatezza e, nel contempo, aromaticità e dolcezza dell’aglio di Caraglio. Nel tardo autunno del 2003 si è iniziata la coltivazione sperimentale per capire e verificare quanto si era recepito dalle varie testimonianze ormai sfumate dall’oblio del ricordo.
I risultati furono da subito incoraggianti. Il terreno locale, fresco e povero di solfati e le condizioni climatiche date dalla immediata vicinanza delle montagne donano all’aromatico bulbillo caragliese le peculiarità sopracitate.
Da quel primo, casuale accenno durante una chiacchierata, comincia quindi la storia di quello che oggi può essere considerato uno dei fiori all’occhiello della produzione agricola caragliese.
Aglio di Caraglio
La pianta è vigorosa e rustica, il bulbo ha dimensioni piccole (20-60 mm) e spicchi affusolati con striature color rosso vinaccia.
Essiccazione naturale dell'Aglio di Caraglio
La coltivazione dell’aglio di Caraglio prevede una rotazione quadriennale del terreno: il terreno coltivato ad aglio per un anno dovrà poi ospitare per i quattro anni successivi altre coltivazioni o esser lasciato incolto.
Tale tecnica è fondamentale per la buona riuscita del raccolto sia in termini qualitativi sia quantitativi. Il Consorzio ha promosso antiche colture intercalari tradizionali come l’ antica patata piatlina e la ciarda, le lenticchie, il “barbarià” (coltivazione mista di 60% di grano e 40% di segale da cui si ricava l’omonima farina), e le antiche qualità di mais.
La coltivazione dell’aglio si sviluppa in un periodo “morto” per l’agricoltura: nei mesi di ottobre e novembre, dove si procede con la “spicchiatura” dell’aglio e l’impiantamento dei bulbi.
La coltura sviluppandosi nei mesi freddi non richiede particolari attenzioni, irrigazione, né trattamenti antiparassitari e quindi ben si presta a metodi di coltivazione biologici.
Il momento più impegnativo di tutto il ciclo produttivo è sicuramente la raccolta. La raccolta dell’aglio avviene nel mese di giugno in coincidenza con la festività di San Giovanni ossia il 24 giugno.
L’aglio una volta estirpato viene appeso e fatto essiccare al sole. Il bimestre estivo di riposo (giugno-agosto) destinato all’essiccazione naturale ne decreta la differenza qualitativa: pur perdendo metà del peso iniziale, i bulbi si stabilizzano in modo permanente, secondo il tradizionale sistema di conservazione.
Successivamente viene selezionato in base al calibro e gli verrà sottratto il suo primo rivestimento in modo da renderlo pulito. Verrà poi confezionato attraverso la realizzazione manuale delle tipiche trecce o dei mazzetti da 3 o 5 teste. I soci sono ad oggi una ventina e producono globalmente un raccolto annuale medio di 230 quintali.
Fonte: http://www.rivistadiagraria.org/articoli/anno-2014/laj-d-caraj-laglio-di-caraglio/