Famiglia: Cucurbitaceae
Specie: Citrullus lanatus (Thunb.) Matsum e Nakai
Francese: pastèque, melon d'eau; Inglese: Watermelon; Spagnolo: sandia; Tedesco: Wassermelone.
Il cocomero (chiamato anche anguria nelle regioni padane e melone d’acqua in quelle meridionali) è pianta originaria dell’Africa tropicale, oggi largamente diffusa in tutto il mondo, sia nella fascia tropicale che in quella temperata-calda, per i suoi grossissimi frutti pieni di una polpa molto acquosa, dolce e rinfrescante. In Italia è coltivato in pien’aria o in coltura pacciamata o semiforzata su oltre 14.000 ettari.
Frutto di
Cocomero
Cocomero varietà Crimson Sweet (foto Francesco Sodi)
Pianta erbacea annuale costituita da uno stelo che rapidamente si ramifica in altri steli striscianti sul terreno, lunghi fino ad alcuni metri, muniti di viticci. Le radici sono molto sviluppate soprattutto in superficie ma anche in profondità. Le foglie sono grandi, spicciolate, con lembo profondamente lobato, di colore verde grigiastro, tormentose.
Di norma la pianta di cocomero è monoica, ossia porta fiori maschili e femminili separati, anche se non mancano casi di varietà andromonoiche con fiori maschili e fiori fertili ermafroditi. I fiori maschili compaiono per primi e superano in numero quelli femminili in un rapporto di 7:1, l’impollinazione è entomofila (api) e l’allogamia è la regola, dopo 40-50 giorni dalla fecondazione i frutti raggiungono la maturazione.
Il frutto del cocomero è un peponide in cui epicarpo, mesocarpo ed endocarpo sono saldati insieme, in esso si distingue la “buccia”, esternamente liscia e coriacea, e la “polpa” che riempie totalmente il frutto e nella quale sono immersi numerosi semi appiattiti, del peso di 35-100 mg, che in certi paesi vengono salati, tostati e consumati come “snack”.
L’aspetto, la forma e le dimensioni dei frutti sono assai variabili con la varietà e le condizioni di coltura: il peso di un frutto varia da 2 a 15 Kg, la forma è sferica o allungata, il colore esterno è verde-chiaro, verde scuro o con striature dei due colori, la polpa è generalmente rossa, ma esistono anche tipi a polpa gialla o bianca.
Pianta di Cocomero varietà Crimson Sweet con frutto (foto Francesco Sodi)
Il cocomero ha esigenze termiche assai elevate: la temperatura minima di germinazione è di 15 °C, il che impone di seminarlo solo a primavera avanzata (aprile-maggio) per essere raccolto in piena estate. Poiché le produzioni precoci hanno un valore economico molto elevato, il cocomero si coltiva spesso in campo in coltura semiforzata: la più semplice forma di forzatura è la pacciamatura del terreno con film plastico, una forma più intensiva prevede, oltre alla pacciamatura, la copertura delle file con piccoli tunnel anch’essi di film plastico. L’effetto termico di queste coperture nelle prime settimane di crescita consente di anticipare di diversi giorni l’inizio della raccolta.
Data la scarsa piovosità durante la stagione di crescita, l’irrigazione è quasi sempre indispensabile. I terreni più adatti al cocomero sono quelli profondi e sciolti, o per tessitura o per ottima struttura.
I caratteri che definiscono il valore di una varietà di cocomero sono: precocità, contenuto zuccherino, pezzatura rispondente alle esigenze del mercato, resistenza al trasporto e alla conservazione, resistenza a malattie (Fusarium e Antracnosi, contraddistinta dalle sigle F e A), uniformità e produttività.
Le popolazioni locali non soddisfano appieno tutte queste condizioni, per cui larghissima diffusione hanno avuto recentemente le varietà ibride.
Il cocomero è una buona coltura da rinnovo che, però, non dovrebbe ritornare sullo stesso terreno prima di 4-5 anni per ridurre i rischi d’attacchi parassitari.
Esige lavorazioni profonde, da eseguire per tempo nei terreni argillosi, e buon affinamento del terreno.
La concimazione prevede, in assenza di letame, la somministrazione di 120-180 Kg/ha d’azoto distribuito parte alla semina e parte in copertura all’allungamento dei fusti, 80-100 Kg/ha di P2O5 e 100-150 Kg/ha di K2O, quando necessario.
L’impianto si fa con semina diretta in campo o con trapianto di piantine allevate in fitocella, il primo metodo è quello che si adotta sia per la coltura in pien’aria sia per la coltura forzata, il secondo solo per la coltura forzata per anticipare ulteriormente il momento della raccolta.
Un sistema di semina molto usato è di seminare vicini 4-5 semi per poi diradare le piantine nate lasciandone 2 per postarella.
Dato il portamento strisciante e la lunghezza degli steli il sesto d’impianto è alquanto largo: molto comune per le varietà tradizionali a grande sviluppo è quello di 2-3 m tra le file e 1,5-2 m tra le postarelle, in modo da realizzare una fittezza di 0,3-0,5 piante a mq, con varietà nuove a frutto piuttosto piccolo la fittezza può essere alquanto superiore, realizzata, ad esempio, distanziando di 1 metro per 1 metro le postarelle.
Nel caso di coltura pacciamata il film plastico trasparente viene steso dopo la semina e, giunto il momento, il diradamento si esegue attraverso tagli opportunamente fatti sul film.
La quantità di seme necessaria è di 3-5 Kg/ha.
Il controllo delle infestanti nelle colture in pien’aria si fa con ripetute sarchiature finché lo sviluppo della coltura lo consente, ma praticabile è il diserbo con prodotti adatti all’applicazione di pre-semina, pre-emergenza o post-emergenza. Nel caso di pacciamatura con film trasparente il diserbo va fatto prima dell’applicazione della copertura.
Alla comparsa della 4°-5° foglia si usa cimare il tralcio per favorire l’emissione di getti ascellari dai quali ottenere più frutti che, comunque, non dovrebbero essere più di 3-4 per pianta. Oltre questo numero è opportuno un loro diradamento. Quando il costo della manodopera lo consente i frutti che hanno raggiunto il chilo di peso, circa, vengono sollevati dal contatto diretto del terreno interponendo tra loro e il suolo paglia o altro materiale, inoltre, per ottenere frutti di forma più regolare e con una più uniforme maturazione, si usa ruotarli periodicamente.
Per questa coltura non si può prescindere dall’irrigazione, specialmente quando il cocomero è stato trapiantato (per la minore profondità del suo apparato radicale). Il massimo fabbisogno in acqua si ha dall’allegagione dei fiori all’ingrossamento dei frutti. All’approssimarsi della raccolta l’irrigazione va sospesa per favorire la concentrazione degli zuccheri nei frutti.
Nel caso di coltura pacciamata l’irrigazione si fa mediante manichette forate o ali gocciolanti che vengono piazzate sul terreno prima di stendere la copertura.
I frutti sono pronti per la raccolta 4 mesi circa la semina, particolare attenzione deve essere fatta nell’individuare i segni della maturazione (invero non molto evidenti ai non esperti) per non raccogliere cocomeri immaturi. I sintomi più evidenti sul frutto sono: disseccamento del peduncolo e del cirro che lo accompagna, suono cupo e sordo alla percussione, scomparsa totale della pruina che ricopre il frutto immaturo.
La raccolta è eseguita a mano ponendo particolare attenzione per evitare ferite o abrasioni che comprometterebbero la conservabilità del frutto. Le produzioni variano da 30 a 50 t/ha in funzione dell’ambiente, della cultivar, della tecnica colturale seguita.
La serbevolezza dei frutti maturi è limitata nel tempo: 15 giorni a 15°C.
Tra le malattie che attaccano la pianta di Cocomero, quelle più dannose sono alcune micosi tra cui la peronospora (Peronospora cubensis), l'antracnosi (Colletotrichum orbiculare), le tracheofusariosi (Fusarium spp.) e il genere Pythium. Più rari sono gli attacchi ad opera di insetti dannosi.
a cura di Francesco Sodi