La indicazione geografica tipica “Ronchi Varesini” è riservata ai seguenti vini:
bianco anche nella tipologia frizzante;
rosato;
rosso.
La zona di produzione delle uve per l'ottenimento dei mosti e dei vini atti a essere designati con l'indicazione geografica tipica “Ronchi Varesini” comprende l'intero territorio amministrativo dei comuni di Albizzate, Angera, Arcisate, Arsago Seprio, Azzate, Barasso, Bardello, Besano, Besnate, Besozzo, Biandronno, Bisuschio, Bodio Lomnago, Brebbia, Bregano, Brunello, Buguggiate, Busto Arsizio, Cadrezzate, Cairate, Cantello, Caravate, Cardano Al Campo, Carnago, Caronno Pertusella, Caronno Varesino, Casale Litta, Casciago, Casorate Sempione, Cassano Magnago, Castellanza, Castelseprio, Castiglione Olona, Castronno, Cavaria con Premezzo, Cazzago Brabbia, Cislago, Clivio, Comabbio, Comerio, Crosio della Valle, Daverio, Fagnano Olona, Ferno, Gallarate, Galliate Lombardo, Gavirate, Gazzada - Schianno, Gerenzano, Golasecca, Gorla Maggiore, Gorla Minore, Gornate Olona, Inarzo, Induno Olona, Ispra, Jerago con Orago, Laveno Mombello, Leggiuno, Lonate Ceppino, Lonate Pozzolo, Lozza, Luvinate, Malgesso, Malnate, Marnate, Mercallo, Monvalle, Morazzone, Mornago, Oggiona con Santo Stefano, Olgiate Olona, Origgio, Osmate, Ranco, Saltrio, Samarate, Sangiano, Saronno, Sesto Calende, Solbiate Arno, Solbiate Olona, Somma Lombardo, Sumirago, Taino, Ternate, Tradate, Travedona - Monate, Uboldo, Varano Borghi, Varese, Vedano Olona, Venegono Inferiore, Venegono Superiore, Vergiate, Viggiù, Vizzola Ticino in provincia di Varese.
Il vino è comparso nell’area verbanese nella lontana preistoria. Sulla estrema riva del lago e lungo
le prime anse del Ticino, in territorio di Castelletto Ticino, si sono rilevati pollini e semi di vite ‘coltivata’ ascrivibili al VII secolo a.C. Non si può escludere che qui o nelle vicinanze si sia in
precedenza sfruttata la vite selvatica, o «labrusca». Per quanto segue cfr.: F.M. Gambari, Le origini
della viticoltura in Piemonte: la protostoria, in Vigne e vini del Piemonte antico, a c. R. Comba,
L’arciere, Cuneo 1994, pp. 17-41; Idem, La coltivazione della vite nell’area del basso Verbano:
l’acquisizione di tecniche vitivinicole nel rapporto tra Etruschi e Celti, in I Leponti tra mito e
realtà, a c. R. De Marinis e S. Biaggio Simona, Locarno, Gruppo Archeologia Ticino e Dadò,
Locarno 2000, I, pp. 195-202. Idem, I - Da Castelletto Ticino a Novaria: l’Ovest Ticino in età
preromana; II -La bevanda come fattore economico e come simbolo: birra e vino nella cultura di
Golasecca, in La birra e il fiume. Pombia e le vie di comunicazione dell’Ovest Ticino tra VI e V
secolo a.C. (a c. di F.M. Gambari), Celid, Torino 2001, pp. 11-24, 141-151. Per i riflessi ossolani
cfr. P. Piana Agostinetti, Il vino dei Leponti. Ipotesi sull’inizio della coltivazione della vite nelle
Alpi Centrali, «Oscellana, 4-2003, pp. 210-215; G. Forni, Alla ricerca delle radici della
viticoltura antronese, «Oscellana, 4-2003, pp. 207-209. Vi è anche in loco traccia di commerci
intensi con gli Etruschi: con i vasi da simposio s’introdussero probabilmente la cultura stessa del
simposio, e più tardi una concezione sacrale del vino, «capace di ‘trasformare’ e talvolta di
travolgere la persona umana», costituendo «la prima droga veramente efficace dell’umanità». T.
Bertamini, E dalla pietra il vino, «Oscellana», 4-2003, p. 201.
In età moderna, molti sono gli elogi riservati dai corografi ai vini verbanesi, certo con una punta di
campanilismo. Il Macaneo nel 1490 esaltava quelli di Lesa, simili ai più pregiati vini campanolaziali
e migliori comunque dei brianzoli. «Lexia unde proveniunt optima Liberi munera cum
falernis setinisque certamen habentia, utque de nostris loquamur meris, montibrigantinis palmam
auferentia» (Chorographya Verbani Lacus per Dominicum Machaneum edita, ora in P. Frigerio, S.
Mazza, P.G. Pisoni, Verbani lacus. Il lago Verbano, Alberti, Verbania-Intra 1975, pp. 162 sg.). Nel
commento al Macaneo del Cotta (1699) si limitò ad aggiungere i bei vigneti su «altini» di Pallanza
e il vino bianco non troppo gagliardo del Gambarogno (ivi, pp. 30, 43). Del vino lesiano parlava
anche Bernardino Arluno (1478-1535) lodandolo come adatto al vin brûlé (a meno che invece il
riferimento sia alla fermentazione secondaria): «certamente in grado, ben bollito e a suo tempo
depurato, di contendere il primato al falerno e ai vini massicani» e inoltre: non troppo leggero, non
scipito, non aspro, grato per soavità al palato e ben accetto allo stomaco. «Quippe decoctum suoque
tempore defecatum vino falerno massicoque contendit» «hoc certe tractu suo maturatum calore, non
aquodsum, non insipidum, non austerum, sed mira palati suavitate gratiosum magno semper
lenimento cuiusvis stomachum confovit» (Frigerio-Mazza-Pisoni 1975, pp. 163 sg.).
Altri elementi storici della vitivinicoltura varesina ( Dal testo di Sergio Redaelli)
Fino all’inizio del XX secolo, la vitivinicoltura era molto diffusa nel Varesotto e rappresentava
un’importante fonte di lavoro e di reddito. L'uva aveva nomi curiosi (Vespolina, Ughetta, Corbera,
Pignolo, Moretto, Schiava, Chiavennasca bianca ecc.), le aziende intrecciavano affari, si
costituivano cooperative per favorire le vendite, le banche agricole alimentavano il credito. Nei
giorni della vendemmia le corti si riempivano di gente e di carri, nelle cantine si dava mano al
torchio e dai tini zampillavano vini gustosi. Da Varese ad Angera, dalla Bassa al confine con la
Svizzera e fino alle sponde dei sette laghi che si trovano sul suo territorio, la provincia era tutta un
vigneto. Già nel '500, del resto, la sola Busto Arsizio contava quattromila pertiche di terreno
coltivato a vite e nel '600 la vitivinicoltura rappresentava i tre quarti della ricchezza varesina.
Le cose incominciarono a cambiare verso la metà del XIX secolo, con le malattie della vite che
falcidiarono i vigneti. Molti distretti lombardi si videro addirittura privati dei mezzi di sussistenza.
Dai 24.091 ettolitri di vino prodotti nel 1852, il distretto di Como (di cui faceva parte il Varesotto)
scese a 7.519 nel 1856. Nell’area prealpina ci fu un estremo tentativo di reimpiantare la vite
americana. Poi ci si rassegnò. Lo sviluppo della ferrovia aprì la strada delle piazze commerciali del
Nord ai vini sfusi pugliesi e meridionali che costavano poco. La bachicoltura garantiva un reddito
più alto alle famiglie contadine e la crescente emigrazione, che attirava la gioventù, completò la
rivoluzione. Così le vigne scomparvero quasi dappertutto e Varese, scoperta una più redditizia
vocazione turistica, sostituì i filari di vite con giardini all'italiana.
Negli anni trascorsi a Roma alla corte del papa Pio IV suo zio, il cardinale Carlo Borromeo si
faceva spedire botti di vino dalla Valceresio, dove la famiglia possedeva il castello di Frascarolo.
Scriveva Carlo, il 28 settembre 1560, al suo agente Guido Borromeo (“Studia Borromaica IV”,
1990, P.G. Pisoni, Documenti carliani nell'archivio Borromeo): "Con questa lettera haverete la
patente per li vini che si hanno da condurre da Milano a Roma. Et perchè si è dato ordine a messer
Battista Pasqua a Genova di quanto haverà da fare per mandarli ben conditionati per mare a Roma,
non mancherete di usar e di far usare ogni possibile diligentia acciò che detti vini siano condotti da
Milano a Genova illesi et intatti et presto, come son certo che farete. Questa patente si manda
perchè li vini passino esenti sotto nome di sua Santità. Il Papa desidera haver anche una botta di
vino de Fraschirolo....".
Guido Montaldo riporta nel libro “La vite e il vino in Lombardia” i dati statistici sulla distribuzione
della vite e sulla produzione di vino nel Varesotto nel 1840-1841: Somma Lombardo aveva il
maggior numero di terreni aratori con viti (15.755 pertiche) seguita da Luino con 13.462, Cuvio
8855, Angera 7197, Gallarate 3324, Arcisate 2949, Maccagno 1635, Busto Arsizio 1000 e Gavirate
810. Busto vantava invece la maggiore estensione di terreni asciutti con viti e gelsi (59.491), seguita
da Saronno con 35.933, Varese 32.423, Angera 23.008, Gallarate 19.833, Tradate 17.702, Somma
12.870, Arcisate 10.003, Gavirate 7270, Luino 6720, Cuvio 6355, Maccagno 3941. Ronchi e vigne
erano più diffusi a Gavirate (19.875), seguivano Angera con 10.464, Luino 10.172, Gallarate 3897,
Arcisate 2855, Maccagno 406.
Sul finire del XIX secolo si tentò l’esperimento della prima Cantina Sociale del Varesotto,
inaugurata nel 1870 a Travedona, nel comprensorio d’Angera, figlia del boom cooperativistico
dell’epoca. Si chiamava Società Vinicola nel Circondario di Varese e restò in vita una decina
d’anni, tentando di promuovere la produzione e il commercio di vini tipici, un po’ come si prova a
fare oggi. Nelle intenzioni dei soci, la Cantina Sociale doveva creare uno stimolo alla buona
viticoltura, portare la produzione varesina al livello delle migliori zone vinicole italiane e aprire un
facile sbocco alle bottiglie locali.
Lago di Varese
Base ampelografica
I vini a Indicazione Geografica Tipica “Ronchi Varesini” bianco, devono essere ottenuti da uve
provenienti da vigneti composti, nell’ambito aziendale, da uno o più vitigni a bacca bianca, non
aromatici, idonei alla coltivazione nella Regione Lombardia ed iscritti nel Registro Nazionale delle
varietà di vite per uve da vino,
riportati nel disciplinare.
La indicazione geografica “Ronchi Varesini” rosato e rosso sono riservate ai vini ottenuti da uve
provenienti da vigneti composti, nell’ambito aziendale, da soli o congiuntamente, per almeno l’60%
dai seguenti vitigni a bacca nera: Barbera; Merlot; Nebbiolo; Croatina.
Possono concorrere da sole o congiuntamente, alla produzione dei mosti e dei vini sopra indicati,
altri vitigni a bacca di colore analogo, idonei alla coltivazione nella Regione Lombardia fino ad un
massimo del 40% ed iscritti nel Registro Nazionale delle varietà di vite per uve da vino, riportati nel
disciplinare.
I vini ad indicazione geografica tipica “Ronchi Varesini” bianco, rosso e rosato, all’atto dell’immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteristiche:
"Ronchi Varesini" Bianco e Bianco frizzante:
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;
acidità totale minima: 4,50 g/l
estratto non riduttore minimo 14,00 g/l.
"Ronchi Varesini" Rosso:
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;
acidità totale minima: 4,50 g/l
estratto non riduttore minimo 18,00 g/l.
"Ronchi Varesini" Rosato:
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;
acidità totale minima: 4,50 g/l
estratto non riduttore minimo 15,00 g/l.
I vini ad indicazione geografica tipica “Ronchi Varesini” bianco, rosso e rosato, all’atto dell’immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteristiche:
"Ronchi Varesini" Bianco e Bianco frizzante:
colore: giallo paglierino;
odore: intenso, fruttato;
sapore: tipico, secco, sapido.
"Ronchi Varesini" Rosso:
colore: rosso rubino;
odore: complesso, fruttato;
sapore: armonico, tipico.
"Ronchi Varesini" Rosato:
colore: rosato vivo;
odore: intenso, ampio, persistente;
sapore: tipico, caratteristico, secco.
Variano a seconda della tipologia.