La denominazione di origine controllata “Nardò” è riservata ai vini che rispondono alle condizioni
ed ai requisiti stabiliti dal disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:
Rosso;
Rosso riserva;
Rosato.
Le uve atte alla vinificazione dei vini a DOC “Nardò” devono essere prodotte nell’area delimitata che comprende in tutto i territori amministrativi dei seguenti comuni: Nardò e Porto Cesareo in provincia di Lecce.
Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata
tradizione hanno contribuito ad ottenere il vino “NARDO’”. La città di Nardò anticamente
chiamata Neretum, della quale vi faceva parte il comune di Porto Cesareo sino al 1975, appartiene
alla provincia dì Lecce ed è situata a pochi chilometri dal mare Jonio il quale bagna ben 45 Km di
coste del territorio neretino. Anche se incerta è l'epoca di fondazione di Nardò già Strabonío e
Plinio la tennero in grande considerazione come una delle tredici più importanti città del Salento. E'
città antichissima anche per i riferimenti alle diverse leggende sorte intorno alle genti del vicino
Oriente emigrate nel Salento perché attratti dalla fertilità del suolo.
Una prima leggenda vuole la fondazione di Nardo ad opera di genti Egizie ed Assire che dandole
per emblema il toro, simbolo del sole, la chiamarono Neriton un' altra leggenda parla di popoli detti "Coni" emigrati da terre dell'Epiro o da Leucadia dopo il diluvio scatenato dal mitologico
Deucalione; sicché, data per vera questa ipotesi, Nardò avrebbe oggi trentacinque secoli di vita. La
città di Nardò sarebbe comunque più antica di Roma.
Nel libro decimo del poema francese del Féuélon, il quale tratta delle avventure di Telemaco, figlio
di Ulisse, al tempo della distruzione di Troia (1134 a. C.) si nota che molto tempo prima della
fondazione di Roma al città di Nardò era già esistente. Secondo un'altra leggenda gli abitanti della
sassosa Nerito, di cui parla molto Virgìlio, sospinti dalla durissima siccità si affidarono
avventurosamente al mare e varcando lo Jonio furono portati sulle coste dove oggi sorge Nardò e
Porto Cesareo. Una volta sbarcati e trovate infinite sorgenti dì acqua potabile, vi si fermarono.
Infatti, dove sorge Nardò il luogo si chiamava Bosco Armentino abbondante di acque sorgive.
Questa gente chiamò Neriton la nuova patria in onore alla loro isola di Nerito. E'certo,
comunque,che per le epigrafi rinvenute e la scoperta di tombe messaniche, anche nel luogo ove
oggi sorge Nardò i Messapi presero stanza e trovarono durevole dimora.
Neretun in un periodo molto antìco, e comunque prima dell'inizio del dominio romano, aveva
tanta importanza da battere moneta con leggenda ellenica; fu, tra l'altro,importante centro di tutta la
Magna Grecia. La romanizzazione della città messapica di Nardò avvenne intorno al 267 a. C.,
dopo la conquista di Brindisi ed il distaccamento in questa città di un contigente di truppe romane.
Nel 273 a.C. la città di Nardò fu però saccheggiata e devastata dalle milizie romane
comandate dal console Marco Curìo Dentato e 57 anni dopo venne rasa al suolo dal generale
cartaginese Annibale. Risorse sotto l'impero di Ottaviano Augusto. Nel 44 a.C., durante la guerra
tra Cesare e Pompeo, l’infelice città fu distrutta e poi riedificata per ordine appunto dell'Imperatore
Cesare Ottaviano Augusto. Si dice che nel 42 d.C. l'Apostolo S. Pietro sbarcato nel Porto Cesareo
in Arneo, fosse venuto a Nardò a predicare convertire alla religione di Gesù il popolo neretìno
edificando una chiesetta sotterranea dedicata alla SS.Vergine Assunta. Per tutti gli antichi popoli
messapi, e quindi per Nardò, il tempo dell'Impero Romano fu l'età più felice della loro storia.
Sono cessate le invasioni barbariche, le stragi e le migrazioni di stirpi e tutto il territorio
salentino pienamente romanizzato acquista un tono di vita molto più tranquillo. La sicurezza
politica e sociale favorisce lo sviluppo dell'agricoltura ed il traffico delle merci. All'epoca imperiale
risale, infatti, la cosiddetta via Traiana che passa per Nardò, costeggiando lo Jonio. Il dominio
romano ebbe fine nel 555 d.C. e quindi padroni di tutto il Salento divennero gli Imperatori d'oriente
residenti a Bisanzio. Purtroppo al crollo dell'impero si giunse attraverso guerre feroci che
portarono alla devastazione di tutto il territorio con l'abbandono delle campagne la miseria, la fame, i morbi e le malattie decimarono fortemente le popolazioni. Al governo di Bisanzio
toccarono terre ormai brulle, squallide, trasformate in lande selvagge ed acquitrinose, con una
popolazione decimata ed abbruttita dalle sofferenze. Sicuramente il riscatto non solo ma anche
materiale di questa gente rimasta va scritta all'opera degli esuli, dei perseguitati d'Oriente che erano
affluiti numerosi in tutte le contrade di Terra d'Otranto e di Nardò per diffondere il Cristianesimo. I
seguaci del culto erano assoggettati a persecuzioni inaudite, mutilati, arsi vivi,lapidati. Per sfuggire
a queste spietate persecuzioni molti di essi espatriarono con le immagini sacre, i simulacri e le
reliquie. La tradizione vuole che alcuni esuli eroici, sbattuti da violento vento di scirocco sulle
scogliere dello Jonio, a S. Caterina, vennero accolti solennemente a Nardò ove recarono le reliquie
di S. Gregorio Armeno, detto l'illuminatore, evangelizzatore dell'Armenia e fondatore
dell'omonima chiesa, nonché le reliquie di S. Clemente ed il simulacro del Croci fisso bizantino,
detto il Cristo Nero. Questo antichissimo legno bizantino è conservato tutt'ora nella cattedrale di
Nardò. I basiliani, tra l'altro, fondarono in Nardò una delle più famose officine scrittoríe (scholae
scriptoriae) accanto all'Abbazia ove riproducevano e studiavano i capolavori della letteratura greca
antica. Così i documenti ed i tesori della antica poesia e della letteratura ellenica vennero
tramandati ai posteri. Per sfuggire alla persecuzione iconoclastica, i monaci basiliani, infatti,
scapparono Oltremare e trovarono in molti rifugio in questa fertile terra del Salento. Qui, il
monachesimo eremitico risolse il problema della totale assenza di mano d'opera locale, in quanto le
terre erano state abbandonate a causa della tristizia dei tempi, e sviluppò l'agricoltura con il
dissodamento e la bonifica dei terreni. Avvenne che questi coloni si raccolsero insieme in
numerosi "casali" e contríbuirono alla grecizzazione delle diverse cittadine salentine. Quindi il
vigneto, che già nel neolitico era presente nelle vicinanze degli agglomerati ruralí-pastorali, prese a
svilupparsi sotto la guida dei monaci basiliani che organizzarono anche le prime “officine" di
lavorazione delle uve.
Tutta la viticoltura salentina che ha legami profondi con i movimenti migratori dell'antica Grecia,
si è sviluppata grazie all'attìvità del monachesimo basìliano che, va ricordato, introdusse, tra l'altro,
le prime norme di diritto privato ed agrario in tema di contratti enfiteutici. Certamente per molti
secoli si sviluppò una viticoltura di autoconsumo che servì, a creare maggiori vìncoli tra l'uomo e
la terra. La vite, a differenza del Frano, ha contribuito ad annullare il fenomeno del nomadismo che
in queste contrade si verificava costantemente a causa dei fenomeni di saccheggio da parte di
predoni, data la vastità delle coste. L'uomo con la coltivazione della vite (prima nella vicinanza dei "Casali" e poi mano a mano in tutto il territorio che dimostrava un a buona vocazione per, la
ricchezza del suolo affermò la volontà di voler rimanere attratto anche dalle bellezze naturali
confortato dal sorgere di una vita anche contemplativa predicata dai basiliani. La lavorazione delle
uve continuò in forma artigianale nei famosi "palmenti" spesso scavati nella roccia ed i vini
prodotti, che erano di notevole alcolicità, contribuìrono a far dimentìcare spesso la mestizia di quel
tempi. Gli antichi "palmenti" hanno rappresentato la prima forma razionale di vinificazione tanto
che, una volta cresciuta la popolazione e la stessa viticoltura, iniziò presto un fiorente commercio
di vini che partivano dai porti di Gallipoli, San Cataldo, Brindisi e Taranto.
La storia della vite e del vino del feudo di Nardò fino agli ultimi anni del secolo scorso è quella di
tutta la viticoltura salentína con momenti di crisi superati con enormi sacrifici, e il fiorente
commercio che si sviluppò con diversi paesi che riconoscevano ai dell'Enotria Tellus le qualità di
poter attraversare i mari senza alterarsi. A seguito dell'invasione fillosserica, che portò alla
ristrutturazione di tutti i vigneti, la vite cambiò ubicazione, trasferendosi in terreni più dotati
idricamente e la trasformazione delle uve assunse una forma decisamente industriale. Sorsero, così,
per iniziativa dei viticoltori locali e di operatori del Nord Italia e per l'interesse nazionale e
francese, i primi veri stabilimenti vinicoli.
Nel 1929 Nardò aveva già ben 1.923 Ha di vigneto a coltura specializzata e non poteva non
risentire della "grande crisi" di quell'anno che influì negativamente anche nel settore del
commercio vinicolo.
I numerosi stabilimenti vinicoli che erano sorti ad opera di numerose Case vinicole settentrionali ed
estere non assicurarono tranquillità ai produttori delle uve, anche se erano migliorate le condizioni
per il trasporto delle uve e dei vini a seguito della innovazione nel settore della viabilità ed
erano stati attivati diversi collegamenti ferroviari. Elementi non solo economici e finanziari, ma
soprattutto demografici, non disgiunti da sentimenti.
Molto diffusi in quell'epoca nelle classi agricole di arrivare a migliori condizioni di vita, fecero
germogliare nelle coscienze di molte persone l'idea di una impresa economica caratterizzata
dall'associazione di più individui per una migliore protezione dei prodotti agricoli. Si sviluppò,
così, l'idea già affermata in altre regioni d'Italia del movimento cooperativo per superare le
difficoltà del collocamento delle uve per le quali venivano spesso offerti prezzi irrisori o addirittura
non si riuscivano a collocare sul mercato. Possiamo affermare, quindi, che NARDO’ e PORTO
CESAREO sono tra le antiche zone d’Italia a vocazione viticola; ed insieme alle altre aree della
Puglia nel 1930 diventava la seconda regione produttrice di vino in Italia.
La base ampelografica dei vigneti: i vitigni idonei alla produzione del vino in questione sono quelli
tradizionalmente coltivati nell’area di produzione. le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i
sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti, sono quelli tradizionali e tali da perseguire la
migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti, sia per agevolare l’esecuzione delle
operazioni colturali, sia per consentire la razionale gestione della chioma. le pratiche relative
all’elaborazione dei vini sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione.
Nardò - Piazza Salandra (foto
Base ampelografica
I vini a DOC “Nardò” devono essere ottenuti dalle uve provenienti dai vigneti aventi, in ambito
aziendale,
la seguente composizione ampelografica:
Negroamaro minimo 80%; possono concorrere alla produzione di detti vini anche le uve
provenienti dai vitigni:
Malvasia nera di Brindisi
Malvasia nera di Lecce
Montepulciano
presenti nei vigneti, da soli o congiuntamente, fino ad un massimo del 20%.
I vini a DOC “Nardò” all’atto dell’immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteristiche:
“Nardò” rosso:
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol;
acidità totale minima: 5,0 g/l;
estratto non riduttore minimo: 22,0 g/l.
“Nardò” rosso riserva:
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,50% vol;
acidità totale minima: 5,0 g/l;
estratto non riduttore minimo: 22,0 g/l.
“Nardò” rosato:
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol;
acidità totale minima: 5,0 g/l;
estratto non riduttore minimo: 18,0 g/l.
E’ in facoltà del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali modificare, con proprio decreto, i limiti sopra indicati per l’acidità totale e l’estratto non riduttore.
I vini a DOC “Nardò” all’atto dell’immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteristiche:
“Nardò” rosso:
colore: rosso rubino più o meno intenso;
profumo: vinoso, intenso;
sapore: asciutto, armonico, lievemente amarognolo.
“Nardò” rosso riserva:
colore: rosso rubino con toni aranciati;
profumo: vinoso, intenso, etereo;
sapore: asciutto, di corpo, giustamente tannico, vellutato ed armonico.
“Nardò” rosato:
colore: dal rosa corallo appena acceso al cerasuolo tenue;
profumo: vinoso, delicato, caratteristico, leggermente fruttato da
giovane;
sapore: secco, abbastanza caldo quasi morbido, poco tannico e abbastanza sapido, di corpo, equilibrato.
- Nardò Rosato: si abbina bene a preparazioni abbastanza complesse come pesci di mare bolliti salsati, seppie ripiene, pasta e ceci, orata al forno. Temeratura di servizio 12° - 14°C. - Nardò Rosso: si abbina a carni rosse, in particolare agnello, maiale, bolliti misti e salumi. Temperatura di servizio 18°C.