L'indicazione geografica tipica "Barbagia" è riservata ai seguenti vini:
bianchi, anche nella tipologia frizzante;
rosso, anche nelle tipologie frizzante e novello;
rosati, anche nella tipologia frizzante.
La zona di produzione delle uve per l'ottenimento dei mosti e dei vini atti ad essere designati con l'indicazione geografica tipica "Barbagia" comprende l'intero territorio amministrativo dei seguenti comuni: Fonni, Gavoi, Lodine, Mamoiada, Nuoro, Oliena, Ollolai, Olzai, Oniferi, Orani, Orgosolo, Orotelli, Ortine, Ottana, Sarule in provincia di Nuoro.
Le origini della coltivazione della vite e della vinificazione in Barbagia si arricchiscono di nuove
conoscenze alla luce delle ultimissime importanti scoperte nei diversi ambiti della genetica,
botanica, storia ed archeologia viticolo-enologica (Mario Sanges: Soprintendenza ai Beni
Archeologici per le Province di Sassari e Nuoro e Gianni Lovicu- Agris Sardegna).
Infatti, recenti e fortunate campagne di scavi condotte in alcuni siti archeologici, tra cui quello di “Duos Nuraghes” (Borore, a circa 50 km ad ovest di Nuoro), hanno portato alla luce vinaccioli
carbonizzati risalenti al 1.300 a.C. che testimoniano la presenza di una affermata cultura enoica in
Sardegna anteriore all’ingresso dei Fenici (1.000 a.C), ai quali si faceva derivare l’introduzione
delle primi viti domestiche nell’isola.
Inoltre sono stati ritrovati vari contenitori “da vino” che caratterizzano il repertorio vascolare
estremamente ricco ed originale, con le tipiche “brocche askoidi” e piccoli “askos” in ferro, bronzo
e ceramica di squisita fattura: ad esempio Sa sedda 'e sos carros (Oliena), ecc.
Un altro ritrovamento nel territorio di Oliena, in località “Sa idda ‘e su medde” (il paese del miele), è il piccolo bronzo raffigurante Aristeo, col corpo totalmente ricoperto di api al quale la storia
mitologica si deve l’introduzione in Sardegna della coltivazione della vite,dell’ulivo e l’allevamento
delle api.
Altri reperti risalenti al periodo romano, testimoniano la permanenza della viticoltura ed enologia
nei secoli successivi.
Successivo a quello romano ci fu un periodo caratterizzato dalla nascita di monasteri circondati da
coltivazioni e vigne. Nel corso del periodo giudicale (900 – 1400) vennero emanate le prime norme
a difesa delle colture agricole, come la “Carta de Logu” promulgata dalla giudicessa Eleonora
d’Arborea, un codice legislativo emanato nel XIV secolo che rimase in vigore sino al periodo
piemontese.
Vari toponimi, che interessano anche alcuni territori dell’IGP, si ritrovano molti sinonimi dialettali
di evidente origine latina, come “su laccu” per la vasca di pigiatura e “pastinai sa bingia” nel senso
di impiantare un nuovo vigneto.
Un capitolo a parte meritano gli studi di biologia molecolare che hanno permesso di stabilire i
rapporti genetici di parentela tra la vite domestica (Vitis vinifera L. ssp. sativa) e la sua progenitrice
vite selvatica (Vitis vinifera L. ssp. sylvestris), diffusa ancora oggi lungo i corsi d’acqua.
Tratti genetici condivisi (alleli microsatelliti) tra la vite selvatica ed alcune cultivar locali (il
Muristellu molto diffuso nel Nuorese) suggeriscono un legame di parentela tra le due sottospecie e
supportano l’ipotesi di un centro secondario di domesticazione in Sardegna.
L’uso della vite selvatica da parte dei Sardi ci viene confermato dalla Carta de Logu in cui vi sono
disposizioni anche contro il commercio dell’uva selvatica. Venditore ed acquirente potevano avere
seri problemi: pena pecuniaria e reclusione “a voluntadi nostra”, cioè del re.
Qualche secolo più tardi, il BACCI, nel 1596, scrive dell’abitudine dei sardi a produrre vino dalla
vite selvatica.
Gli storici narrano che il “la Sardegna centrale potrebbe a taluno parere una regione, dove la vite
fosse indigena; così essa è sparsa per tutto e con tanta prosperità vegeta porgendo in suo tempo
questa spurra, …, grappoli di acini variocolorati e deliziosi. Essa trovasi in tutte le parti arrampicata
alle altre piante, e principalmente sulle amenissime sponde de’ rivi.”
Episodi di domesticazione di vite selvatica da parte di viticultori sono stati individuati dal CRAS (il
Centro Regionale Agrario Sperimentale della Regione Sardegna) ora confluito in AGRIS Sardegna
(l’Agenzia per la ricerca in agricoltura della Sardegna), oltre che nello stesso Sulcis, anche in
Barbagia e in Baronia.
La particolare qualità dei vini della Sardegna centro-orientale è conosciuta da tempo notevole.
Quello che probabilmente non è conosciuto a tutti è che già dalla fine dell’800 queste particolarità
erano state rilevate su basi scientifiche.
Il Cettolini, infatti, rileva sia l’elevata densità di impianto per ettaro (7000-7600 ceppi ettaro, che
sono le densità ancora presenti nei vigneti più vecchi e capaci di produrre grandissima qualità)
seguita da una ridotta carica di gemme, sia –per usare le sue parole –“ un fatto importante che venne
già altra volta segnalato per le uve del Nuorese si è quella della elevata proporzionalità acidimetria
che accompagna le uve coltivate in posizioni alte”.
In un'altra opera, il Cettolini afferma che “la base della viticoltura nuorese è costituita quasi dalle
stesse viti della provincia di Cagliari, ma come è naturale il glucosio in generale diminuisce e
l’acidità aumenta”. Inoltre“ i vini del Nuorese possono avere una notevole alcolicità unita ad un
elevato grado acidimetrico il che costituisce la possibilità di avere vini che coll’invecchiamento
diventano molto profumati.”
E a proposito delle uve provenienti da questi areali, lo stesso Cettolini evidenziava che “ è il
quantitativo di acidità dovuto a quel complesso di composti organici a base acida che la vite
elabora, e che passano dal mosto al vino, ravvivandone il colore, fissandone il sapore e presiedendo,
formandone parte, allo sviluppo del profumo”.
La tecnica di coltivazione è quella tradizionale della Sardegna; i vigneti vengono perlopiù allevati
ad alberello (si tratta di una delle zone della Regione in cui più si è conservata tale forma di
allevamento) o impostati a controspalliera e potati a guyot o cordone speronato. Si cerca di
mantenere l’equilibrio vegeto-produttivo della pianta contenendone lo sviluppo garantendo
produzioni di particolare pregio qualitativo.
Zona di produzione dei vini Barbagia Igt (foto www.lestradedelvino.com)
Base ampelografica
I vini a indicazione geografica tipica "Barbagia" bianchi, rossi e rosati devono essere ottenuti da uve
provenienti da vigneti composti, nell'ambito aziendale, da uno o più vitigni idonei alla coltivazione
nella regione Sardegna iscritti nel registro nazionale delle varietà di vite per uve da vino, a bacca di colore corrispondente.
L'indicazione geografica tipica "Barbagia", con la specificazione di uno dei vitigni idonei alla
coltivazione nella regione Sardegna con l'esclusione dei vitigni Cannonau, Carignano, Girò,
Malvasia, Monica, Moscato, Nasco, Nuragus, Semidano, Vermentino e Vernaccia è riservata ai vini
ottenuti da uve provenienti da vigneti composti, nell'ambito aziendale, per almeno 85% dai
corrispondenti vitigni.
Possono concorrere, da sole o congiuntamente, alla produzione dei mosti e vini sopra indicati, le
uve dei vitigni a bacca di colore analogo, non aromatici, idonei alla coltivazione nella regione
Sardegna, sino a un massimo del 15%.
I vini a indicazione geografica tipica "Barbagia" col la specificazione di uno dei vitigni, possono essere prodotti anche nelle tipologie frizzanti nonché novello per i vini
ottenuti da vitigni a bacca rossa.
I vini a indicazione geografica tipica "Barbagia", anche con la specificazione del nome del vitigno, all'atto dell'immissione al consumo, devono avere le seguenti caratteristiche:
"Barbagia" bianco:
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10 % vol
acidità totale minima: 3,5 g/l
estratto non riduttore minimo: 13 g/l.
"Barbagia " rosso:
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11 % vol
acidità totale minima: 3,5 g/l
estratto non riduttore minimo: 17 g/l.
"Barbagia " rosato:
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5 % vol
acidità totale minima: 3,5 g/l
estratto non riduttore minimo: 14 g/l.
"Barbagia" novello:
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11 % vol
acidità totale minima: 3,5 g/l
estratto non riduttore minimo: 16 g/l.
"Barbagia" bianco frizzante:
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5 % vol
acidità totale minima: 3,5 g/l
estratto non riduttore minimo: 13 g/l.
"Barbagia" rosso frizzante:
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5 % vol
acidità totale minima: 3,5 g/l
estratto non riduttore minimo: 14 g/l.
"Barbagia" rosato frizzante:
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5 % vol
acidità totale minima: 3,5 g/l
estratto non riduttore minimo: 14 g/l.
I vini a indicazione geografica tipica "Barbagia", anche con la specificazione del nome del vitigno, all'atto dell'immissione al consumo, devono avere le seguenti caratteristiche:
"Barbagia" bianco:
colore: dal bianco carta al giallo ambrato
odore:caratteristico
sapore:dal secco al dolce.
"Barbagia " rosso:
colore: da rosso rubino tenue a rosso granato
odore: caratteristico
sapore: dal secco al dolce.
"Barbagia " rosato:
colore: dal rosa pallido al rosa carico
odore: caratteristico
sapore: dal secco al dolce.
"Barbagia" novello:
colore: da rosso con riflessi violacei a rosso rubino
odore: caratteristico
sapore: dal secco all’abboccato.
"Barbagia" bianco frizzante:
colore: dal bianco carta al giallo
odore: caratteristico
sapore: dal secco al dolce, frizzante.
"Barbagia" rosso frizzante:
colore: dal rosso rubino tenue al rosso rubino
odore: caratteristico
sapore: dal secco al dolce, frizzante.
"Barbagia" rosato frizzante:
colore: dal rosa pallido al rosa carico
odore: caratteristico
sapore: dal secco al dolce, frizzante.
I vini a indicazione geografica tipica “Barbagia” con la specificazione del nome del vitigno, all'atto dell'immissione al consumo, oltre alle caratteristiche sopra specificate per i vini del corrispondente colore, devono presentare le caratteristiche organolettiche proprie del vitigno.
Variano a seconda della tipologia.