La zona di origine delle uve idonee a produrre il vino DOC “Casavecchia di Pontelatone” comprende l’intero territorio amministrativo del comune di Liberi e Formicola e parte dei comuni di Pontelatone, Caiazzo, Castel di Sasso, Castel Campagnano, Piana di Monte Verna e Ruviano, tutti in provincia di Caserta.
La storia popolare, molto diffusa nelle persone del luogo, vuole che il Casavecchia abbia
avuto origine da seme, nei pressi di un antico rudere del quale esistono ancora oggi i muri
perimetrali, sito nei pressi della vecchia masseria denominata “Ciesi”, nel comune di Pontelatone a
pochi passi dal braccio entroterra dell’antichissima via latina che dall’antica Capua portava ad
Alife.
Secondo il detto popolare fu un certo Scirocco Prisco, nato a Pontelatone nel 1875 e ivi
morto nel 1962 (Archivio dell’Interdiocesi di Caiazzo) a rinvenire verso la fine del XIX secolo, nei
pressi del citato rudere (di sua proprietà) la prima vite di Casavecchia. Egli stesso iniziò a riprodurla
per propaggine e da qui si diffuse nei vicini comuni di Castel di Sasso, Formicola e Liberi. Sembra
che la gente del posto iniziò a dire in gergo dialettale “l’uva e chella casa vecchia” da cui derivò il
toponimo Casavecchia.
Da colloqui con i due figli ancora in vita del Prisco Scirocco, Guarino e Giuseppina, nati
rispettivamente nel 1930 e nel 1923 a Pontelatone, sembra che suo padre trovò all’età di circa 25
anni, (quindi intorno al 1900) realmente la prima vite di Casavecchia nel posto indicato dalla
leggenda e che al momento del rinvenimento avesse già un’età consistente (diametro del fusto di
almeno 40 cm). Le testimonianze di Scirocco Giuseppina e di Scirocco Guarino mettono fortemente
in discussione l’attendibilità del detto popolare, proprio perché secondo loro, il padre trovò la prima
vite Casavecchia che aveva già un’età consistente, pertanto non si può essere certi del fatto che sia
nata effettivamente da seme, per la mancanza di documenti storici e di testimonianze attendibili in
merito.
Le ipotesi alternative al detto popolare potrebbero essere diverse, si potrebbe pensare
realmente ad una vite nata da seme molto tempo prima del suo rinvenimento, ma anche all’ipotesi
secondo la quale una popolazione del vitigno Casavecchia già era diffusa nella zona e che nei pressi
del vecchio rudere un unica pianta sia sfuggita all’abbandono e alla successiva estinzione.
La seconda delle suddette ipotesi sembra trovare un importantissimo riscontro con
avvenimenti storici accuratamente documentati. Secondo le ricerche dei geologi, infatti, oltre al
periodo freddo umido del tardo-antico tra V e VIII sec., il bacino del mediterraneo sarebbe stato
interessato da un altro grande ciclo freddo-umido tra il XVI e la metà del XIX sec.; in Campania
questo secondo ciclo si può ritenere concluso dalla epidemia di oidio che nel 1851 colpì la
viticoltura, danneggiando e talvolta distruggendo vigneti ed arbusteti, non solo in una vasta area
intorno al golfo di Napoli, le isole, il Vesuvio e la pianura campana, ma dilagando anche nelle
limitrofe aree regionali (Guadagno G., 1997).
Come recita la relazione presentata alla Reale Accademia delle Scienze nel 1851 dalla
commissione appositamente costituita «... in provincia di terra di lavoro... Il male passava di là dai
monti che circondano la pianura campana alle provincie limitrofe…».
Se si fa riferimento alla predetta relazione che rappresenta l’area interessata dalla epidemia
oidica che nel 1851 colpì la Campania, si nota che la zona in cui oggi è diffuso il vitigno
Casavecchia fu interessata da tali vicende storiche. Valutando le testimonianze dei due figli del
Prisco Scirocco, tra l’altro molto più attendibili del detto popolare, si capisce che le origini di quella
prima vite di Casavecchia sono antecedenti all’infestazione oidica del 1851. Appare chiaro che
esiste una indubbia ed inequivocabile collimazione geografica oltre che temporale tra la
documentata relazione sull’infestazione oidica del 1851 e i fatti emersi dalle testimonianze dei due
figli del Prisco Scirocco, per questo è possibile quanto spontaneo rafforzare l’ipotesi secondo la
quale una popolazione del vitigno Casavecchia già era diffusa nell’area in studio o addirittura in
Terra di lavoro ancor prima del XIX secolo e che il periodo di freddo umido prima e l’infestazione
oidica del 1851 poi, abbiano portato ad una sua estinzione; così la pianta (già vecchia) trovata verso
la fine del XIX secolo sarebbe stata l’unica superstite di quella popolazione per cause ancora tutte
da chiarire.
Grappolo di Casavecchia (foto www.sclavia.com)
Base ampelografica
La denominazione d'origine controllata "Casavecchia di Pontelatone" è riservata ai vini ottenuti da uve provenienti
da vigneti aventi, nell’ambito aziendale, la seguente composizione varietale:
· “Rosso” e “riserva”: Casavecchia n. minimo 85%; possono concorre altri vitigni a bacca
rossa non aromatici idonei alla coltivazione per la Regione Campania, fino a un massimo del
15%.
I vini a denominazione di origine controllata «Casavecchia di Pontelatone» all'atto dell'immissione al consumo devono rispondere alle seguenti caratteristiche:
titolo alcolometrico volumico minimo totale: rosso 12,50% Vol, riserva 13,00%Vol.;
acidità totale minima: 5,0 g/l;
estratto non riduttore minimo: 26,0 g/l.
È facoltà del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con proprio decreto, stabilire limiti minimi diversi per l’acidità totale e l’estratto non riduttore.
Il vino a denominazione di origine controllata “Casavecchia di Pontelatone” deve essere sottoposto a un periodo minimo di invecchiamento obbligatorio di due anni di cui almeno uno in legno. Per la tipologia “riserva” l’invecchiamento deve essere di non meno di tre anni di cui almeno 18 mesi in legno. Il periodo di invecchiamento decorre dal primo Novembre dell’anno della vendemmia.
I vini a denominazione di origine controllata «Casavecchia di Pontelatone» all'atto dell'immissione al consumo devono rispondere alle seguenti caratteristiche:
colore: rosso rubino più o meno intenso, tendente al granato con l’invecchiamento;
odore: intenso, persistente, caratteristico;
sapore: secco, sapido, giustamente tannico, morbido e di corpo.
Si abbina a primi piatti con ragù di carne, salumi, salsicce, carni rosse alla griglia, capretto e agnello al forno, carne di bufala e formaggi stagionati. Temperatura di servizio 18°C.