La denominazione di origine controllata “Aversa”, seguita dal nome del vitigno Asprinio è riservata
ai vini delle seguenti tipologie:
“Aversa” Asprinio
“Aversa” Asprinio spumante.
Le uve destinate alla produzione del vino a DOC “Aversa Asprinio” devono essere prodotte nella
zona che comprende tutto il territorio amministrativo dei comuni di:
In provincia di Caserta:
Aversa, Carinaro, Casal di Principe, Casaluce, Casapesenna, Cesa, Frignano, Gricignano di Aversa,
Lusciano, Orta di Atella, Parete, San Cipriano d’Aversa, San Marcellino, Sant’Arpino, Succivo,
Teverola, Trentola – Ducenta, Villa di Briano, Villa Literno.
In provincia di Napoli:
Giugliano, Qualiano, Sant’Antimo.
Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata
tradizione hanno contribuito ad ottenere il vino “ Aversa”.
L’agro aversano, ricadente nelle province di Napoli e Caserta, è delimitato, a guisa di barriere
vegetali, dalle tipiche alberate (o festoni) che ne caratterizzano il paesaggio.
La vite maritata a tutori vivi, in genere il pioppo, raggiunge anche i venti metri di altezza dando
origine a prodotti di pregio e spiccata tipicità che possono vantare una tradizione antichissima e
saldamente radicata nelle popolazioni locali.
Infatti il vitigno Asprinio è presente in Campania da epoca remota ma varie e diversificate sono le
ipotesi formulate sulla sua origine, come pure diverse sono le sinonimie da più parti segnalate.
Secondo alcuni ampelografi in Puglia il vitigno riceverebbe il nome di “Olivese”, “Ragusano” e “Ragusano bianco”. Nelle aree aversane, maddalonese e casertana, invece, è ricorrente la
denominazione di “Asprinio” – “Asprino” – “Uva Asprinia”. Più consona risulta, comunque, la
terminologia di “Asprinio di Aversa”, la cui codificazione è ormai accettata dagli operatori agricoli
dagli Enti locali preposti alla tutela ed alla valorizzazione della produzione viticola. La coltura del
vitigno Asprinio, diffusa un po’ dappertutto nel Mezzogiorno d’Italia, ha sempre trovato in
Campania, e più specificatamente in Agro Aversano, la più ampia collocazione.
Circa l’ introduzione in Italia di tale vitigno, le ipotesi formulate sono molto diverse ed anche il
particolare sistema di allevamento è oggetto delle più svariate considerazioni, non esclusa qualcuna
chiaramente frutto di pura fantasia, in quanto collegata ad una probabile funzione di più o meno
valida barriera bellica per contrastare le cariche della cavalleria degli eserciti avversi ai Borboni.
Più consono, ci sembra invece, collocare il particolare sistema di allevamento della vite alla coltura
della canapa, tipica dell’area di Terra di Lavoro. La canapa, infatti, raggiungendo altezze variabili
intorno ai due metri dal suolo, creava condizioni sfavorevoli ad un allevamento basso della vite,
soprattutto in considerazione che la coltura della vite veniva condotta in consociazione.
Secondo Violante e Bordignon sembra che la diffusione della coltura dell’Asprinio abbia avuto la
maggiore espansione nelle Puglie ed in Campania. In particolare, poi, l’incidenza più elevata si
sarebbe registratta nella provincia di Caserta, un po’ meno in quella di Napoli.
Secondo Giampaglia, il vitigno Asprinio deriverebbe dalla “tribù dei Pinot” e sarebbe stato
introdotto nel Napoletano nel secolo scorso durante la dominazione francese. A sostegno di questa
ipotesi vale la considerazione avallata dagli stessi agricoltori, secondo i quali, nel passato, l’uva
asprinia veniva acquistata da commercianti francesi e ungheresi, per poi utilizzarla nella
preparazione di vino spumante.
Altri sostengono che il vitigno in parola derivi direttamente dal “Greco” e ciò verrebbe confermato
da quanto scriveva, nel 1804, Nicola Columella Onorati che elencando le principali varietà di uva
che si coltivano nell’agro alifano, cosi si esprimeva: “L’uva asprinia, della quale varietà di uva
bianca si fa il Greco in buona parte in Campania è conosciuta sotto il nome di Asprinio di Aversa”.
Ma gli stessi cultori dell’epoca non sembrano condividere tali affermazioni, perché le differenze
morfologiche tra “Greco” ed “Asprinio” risulterebbero tali da non lasciare alcun dubbio.
Secondo notizie tramandate da Sante Lancerio, cantiniere di S.S. Papa Paolo III Farnese, la coltura
del vitigno risalirebbe agli inizi del ‘500, cioè in un’epoca anteriore alla dominazione francese.
Infatti, ne “I Viaggi di Papa Paolo III”, il Lancerio dice che S.S. usava l’Asprinio come bevanda
dissetante servendosene prima di coricarsi. Lo stesso autore facendo le lodi a questo vino “diuretico” dice che il migliore è quello di Aversa, apprezzato dai commercianti perché “li
cortigiani et cortigiane corrono volentieri alla foglietta” (la “foglietta” è una misura di capacità del
vino, circa mezzo litro).
Questa la descrizione: “Il vino Asprinio vien da un luogo vicino Napoli. Li migliori sono quelli di
Aversa, città unica e buona. Ce ne sono delli bianchi et delli rossi, ma questi sono meglio. Tali vini
sono molto crudi, sono vini da podagrosi. L’estate è sana bevanda. Di questa sorta di S.S. usava
bere alcuna volta per cacciare la sete avanti che andasse a dormire, et diceva farlo per rosicare la
flemma. A volere conoscere la sua perfetta bontà vuole essere odorifero, di colore dorato, et non del
tutto crudo. Volendolo per le state, bisogna metterelo, la primavera, nella cantina, et sia si crudo che
il caldo lo maturi, et prima faccisi la prova del colore. Tali vini sono stimati assai dagli osti, che li
Cortigiani et Cortigiane corrono volentieri alla foglietta. Anco questo vino è lodato dai Medici,
sicchè e buono.”
Anche la tradizione popolare vuole far risalire la coltivazione dell’Asprinio nella zona ai primi del ‘500. Si vuole, ma senza alcuna prova storica, che Luigi XII di Valais, Re di Francia detto “Padre
del Popolo” (nato a Blais 1462 – morto a Parigi 1515), disceso nella penisola italiana all’inizio del
1500 ed impadronitosi prima del Ducato di Milano e quindi del Regno di Napoli che, poi, dovette
cedere agli Spagnoli (1504), importasse dalla Francia una certa quantità di vitigni che, avendoli fatti
mettere a sito nelle terre del Casertano, ne ottenne l’Asprinio.
Questo vino chiaro, color verdolino, asciutto e frizzante è gradevolissimo e dissetante per cui i
napoletani presero a berne ben fresco anche fuori pasto per meglio sopportare le arsure estive. Sta di
fatto che questo vino giovane, prodotto all’epoca di bassa gradazione alcoolica (dagli 8 ai 10 gradi),
ebbe vasta diffusione nel napoletano talché nelle antiche e più rinomate taverne della Napoli prima
spagnola e poi borbonica quali quelle: del Cerriglio: della Vicaiola: di Porta Capuana: di Florio a
Chiaia e del Crispano, la bionda bevanda “scorreva a fiumi” con grande sussiego dei tavernari e
grande gioia dei festosi chiassosi consumatori.
A convalidare l’antichità di questo gradevole prodotto enologico va ricordato che da un “Assisa del
vino” in data 15 febbraio 1640 risulta che il prezzo dell’Asprinio era di denari nove la caraffa, (la “caraffa” equivalente a trentatre once di liquido, poco meno di un litro).
Questo tipico prodotto partenopeo che, forse, aveva in un certo qual modo colpito l’attenzione della
moglie del Re Gioacchino Murat, portò la Regina Carolina a scrivere in una lettera: “Questa e la
terra promessa, nella campagna si vedono festoni di viti attaccati agli alberi con sparsi grappoli di
uva assai più belli di quelli che gli Ebrei portarono a Mosè. Spero che quanto ti dico ti ispiri il
desiderio di venire a vedere questo paese, vale la pena di fare cinquecento leghe per vederlo.”
Non si può escludere che la principessa napoleonica fosse stata attratta proprio dal vitigno Asprinio
allevato secondo il sistema classico ad alberata, detto anche “Sistema Aversano”.
E poiché, se è vero, che tutto torna alle origini giova ricordare che dall’Asprinio si ottennero i primi
spumanti secchi che, prodotti con le più pregiate uve dei Siti Reali dell’aversano, trovarono
favorevole accoglienza nella vicina Francia.
Pare che lo stesso Garibaldi lo abbia apprezzato in una rustica colazione dopo la battaglia del
Volturno.
Diversamente dagli altri il Redi evidenzia , con un certo dispregio, la caratteristica acidità del Vini
Asprinio, definendolo “bevanda agreste”: ma, ricorda il Monelli, forse per ripicca a seguito di
contrasti con l’Avvocato napoletano Francesco d’Andrea.
Rendella, a sua volta, riferisce di un vino Asprinio facile a digerirsi, ma poco serbevole per cui ne
consiglia il consumo prima dei forti calori estivi, raccomandandone la conservazione in grotte
scavate nel tufo a profondità di 15-20 metri, affinché la temperatura si mantenga costantemente
bassa. In queste cantine, tutt’ora esistenti, il vino si conserva bene e si presenta frizzante a causa
dell’anidride carbonica che si svolge dalla fermentazione lenta che, favorita dall’ambiente fresco, si
dissolve facilmente nella massa.
Da rilevare, la testimonianza di Vincenzo Sammola, secondo il quale il maggior consumo di vino a
Napoli era appannaggio del tipo rosso mentre “solo nell’estate avanzata” la preferenza era accordata
al vino bianco “Asprinio di Aversa”.
Nel 1839 nel suo “Corricolo”, interessante tra l’altro per una classificazione delle pizze d’epoca,
Alessandro Dumas, definì l'Asprinio come l’unico vino capace di andar bene con la pizza e gli
spaghetti.
Il Bruno Bruno, invece lo definisce atto su lucci e anguille, riportando un giudizio di Veronelli, che è rimasto affascinato dall’Asprinio di Aversa:
“Quando l’ho bevuto, mi sono emozionato. Ero in campagna da un contadino, dalle parti di Aversa,
e quell’ Asprinio era eccezionalmente buono. Ben lavorato, fragile, elegante. Quello che i fa rabbia è la consapevolezza di non poterlo ritrovare. L’Asprinio di Aversa sarebbe un vino splendido se
venisse valorizzato”.
Aversa Doc
Base ampelografica
Il vino a denominazione di origine controllata “Aversa” Asprinio deve essere ottenuto da uve
provenienti da vigneti aventi, in ambito aziendale, la seguente composizione varietale:
Asprinio minimo 85%;
Possono concorrere alla produzione di detto vino le uve di altri vitigni a bacca bianca, non
aromatici, idonei alla coltivazione per le rispettive province di Caserta e di Napoli, da soli o
congiuntamente, fino ad un massimo del 15%.
Il vino a denominazione di origine controllata “Aversa” Asprinio spumante deve essere ottenuto da
uve provenienti da vigneti aventi, in ambito aziendale, la seguente composizione varietale:
Asprinio minimo 100%.
I vini a denominazione di origine controllata «Aversa» all'atto dell'immissione al consumo devono rispondere alle seguenti caratteristiche:
“Aversa” Asprinio:
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50% vol.;
acidità totale minima: 6,0 g/l;
estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l.
“Aversa” Asprinio spumante:
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol;
acidità totale minima: 7,0 g/l;
estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l.
E’ facoltà del Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali modificare, con proprio decreto, i limiti sopra indicati per l’acidità totale e l’estratto non riduttore minimo.
I vini a denominazione di origine controllata «Aversa» all'atto dell'immissione al consumo devono rispondere alle seguenti caratteristiche:
“Aversa” Asprinio:
colore: giallo paglierino più o meno carico;
profumo: intenso, fruttato, caratteristico;
sapore: secco, fresco, caratteristico.
“Aversa” Asprinio spumante:
spuma: fine e persistente;
colore: giallo paglierino più o meno intenso;
profumo: fine, fragrante, caratteristico;
sapore: secco, fresco, caratteristico.
Aversa Asprinio: si accompagna a piatti fritti, mozzarella di bufala, primi piatti col sugo di pesce. Temperatura di servizio 8° - 10°C.
Aversa Asprinio spumante: si accompagna
a piatti a base di pesce, crostacei, ostriche. Temperatura di servizio 8°C.