Tipologia: Parco Naturale Regionale; istituito con L.R. 2 aprile 1988, n. 11.
Regione: Emilia-Romagna
Provincia: Reggio Emilia
Il Parco Naturale dell'Alto Appennino Reggiano (detto anche Parco del Gigante) interessa un'area di 23.700 ettari sui versanti e crinale appenninico in Provincia di Reggio Emilia.
Con il Decreto del Presidente della Repubblica 21 maggio 2001, è stato istituito il Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano. Il nuovo Parco riguarda il territorio di due Regioni (Emilia-Romagna e Toscana), di quattro Province (Lucca, Massa Carrara, Parma e Reggio Emilia) e tredici Comuni (Busana, Collagna, Ligonchio, Ramiseto, Villa Minozzo, Castelnovo ne' Monti, Corniglio, Comano, Filattiera, Fivizzano, Licciana Nardi, Giuncugnano, S.Romano Garfagnana, Villa Collemandina).
Il Parco racchiude e collega due aree protette regionali (Parco del Gigante e Parco dei Cento Laghi) e quattro riserve naturali statali (Pania Corfino, Guadine Pradaccio, Lamarossa, Orecchiella).
Monte Prado e Monte Cusna - Parco Naturale Alto Appennino Reggiano (foto www.ambra.unibo.it)
La vetta più elevata dell'appennino Reggiano è il Monte Cusna (2.120 m), detto anche il Gigante per il suo particolare profilo dovuto a una deformazione tettonica.
L'ambiente del parco è quello dell'appennino d'alta quota. Un ambiente montano dalle caratteristiche proprie, che varia a seconda delle altitudini e del substrato geologico. Chiari segni dell'azione di modellamento del paesaggio operarata dai ghiacciai del Quaternario sono osservabili intorno a molte sommità: ampi circhi glaciali, come quello che ospita le sorgenti del Secchia, chiudono la testata valliva dei principali torrenti e i depositi morenici ospitano spesso laghi, specchi d'acqua in fase di interramento e torbiere.
Sulle praterie di altitudine volteggia l'aquila reale, mettendo in fuga le marmotte. Scendendo lungo i versanti montuosi del parco si incontrano estese faggete, nuclei spontanei di abete bianco e rimboschimenti a conifere, come la celebre Abetina Reale. I boschi coprono gran parte del territorio, stentando solo sulle pareti più ripide e profondamente incise degli schiocchi, particolari forme erosive, simili a canyon, osservabili a tratti nelle valli dell'Ozola, del Riarbero e del Secchia.
L'Alto Appennino Reggiano ha rilievi e versanti vallivi formati da rocce anche molto diverse fra loro e spesso fortemente deformate. Ciò deriva dalla particolare complessità geologica della parte emiliana della catena appenninica. Diffuse sono le arenarie. La sedimentazione di queste rocce risale all'Oliocene e al Miocene (da 35 a 17 milioni di anni fa circa) ed è avvenuta in ambienti di mare profondo. Le argille, più tenere, sono soggette a maggiore erosione e sono spesso causa di frane. Le ofioliti sono presenti nel Parco solo in piccoli lembi isolati. Si tratta di rocce vulcaniche che devono il loro nome al particolare aspetto, che può ricordare la pelle di un serpente (dal greco ofios, serpente), facilmente riconoscibili per la colorazione nera o verdastra, sono rocce la cui genesi magmatica si colloca intorno a 180 milioni di anni fa.
Un accenno particolare meritano i Gessi Triassici della Val Secchia. Nel Parco i gessi triassici si possono osservare alle falde del Monte Ventasso, presso Busana e Acquabona, a Collagna, a Ligonchio e tra il passo del Cerreto e quello dell'Ospedalaccio. Ben riconoscibili anche a grandi distanze per il colore chiarissimo, sono caratterizzati da una struttura microcristallina che li rende simili a un bel marmo di colore bianco (ma a volte anche grigio chiaro, arancio e rosa). A causa dell'elevata solubilità dei gessi, in queste rocce si manifestano fenomeni carsici, che hanno dato origine su alcuni affioramenti a piccole doline, inghiottitoi e grotticelle.
Estese faggete ammantano i versanti montani dai 900-1.000 m fino ai 1.700-1.800 m. Questo mantello boscato, che in autunno si accende dei colori più caldi, di rado lascia il posto ad altre formazioni: fra tutte risaltano i rimboschimenti a conifere, dove la persistenza del fogliame in inverno è in deciso contrasto con i toni grigi che la faggeta suume nello stesso periodo. Lungo i numerosi corsi d'acqua i faggi lasciano il posto a salici, pioppi e ontani e fra la vegetazione erbacea risaltano le enormi foglie cuoriformi dei farfaracci. In corrispondenza di affioramenti rocciosi ripidi come gli schiocchi viene meno la copertua boscosa. Ma sugli schiocchi dell'Ozola, in una parete rocciosa esposta a sud, cresce una ridotta popolazione naturale di abete bianco. Questa specie, presente allo stato spontaneo anche sul Ventasso e al Passo del Cerreto, a subito una drastica riduzione a causa di cambiamenti climatici che hanno favorito lo sviluppo del faggio. Nel Parco compaiono anche i castagneti, localizzati sempre vicino ai centri abitati, a testimonianza dello stretto legame che univa questi boschi alle genti locali. Oggi il castagno non rappresenta più la risorsa fondamentale per l'economia montana e sempre più spesso ai piedi di maestose piante secolari, non più coltivate, si accalcano cespi di ginestra dei carbonai, brugo e felce aquilina. Nelle aree a debole pendenza, più facili da coltivare, i boschi sono stati sostituiti da prati e pascoli, in cui manto erboso fornisce ancora oggi buon foraggio per gli allevamenti locali e, in estate, si ravviva di ricche fioriture, fra cui spiccano quelle di alcune orchidee. Lasciati alle spalle gli ultimi faggi cespugliosi e contorti, modellati dai venti, e raggiunta la linea di crinale, il paesaggio si apre su vaste praterie e brughiere a mirtillo interrotte solo dalla roccia affiorante.
Il Parco è ricco di specie di mammiferi di grande interesse faunistico, legate agli ecosistemi d'alta quota e a quelli più integri e selvaggi. E' significativa la ricomparsa del lupo, oggetto di un programma di studio. La presenza di ungulati è in parte dovuta a reintroduzioni di specie autoctone estinte nei secoli scorsi, come il cervo, e a reintroduzioni di specie estranee alla fauna locale come il muflone. Attualmente il capriolo è diffuso, con popolazioni ben inserite negli ecosistemi naturali. Anche il cinghiale è in espansione, perle ripetute immissioni, avvenute in passato a scopo venatorio. Fatta eccezione per lo scoiattolo, attivo di giorno nei boschi di conifere, ma anche in faggete e querceti, tutti gli altri mammiferi più comuni conducono attività notturna. Di grande interesse, alle quote più alte, è l'arvicola delle nevi, che conta pochissime stazioni in tutto l'Appennino, dove è considerata una specie relitta dell'ultima glaciazione. Tra i predatori, i più diffusi sono la volpe e vari mustelidi fra cui faina, puzzola, donnola e tasso. Una curiosità è la marmotta, una specie alpina introdotta ormai da alcuni decenni nell'Alto Appennino settentrionale.
Sotto il profilo faunistico gli uccelli costituiscono il gruppo più diversificato, per la capacità di spostarsi rapidamente e di utilizzare anche situazioni ambientali temporaneamente favorevoli in luoghi difficilmente raggiungibili dagli altri vertebrati. E' il caso delle praterie e delle pietraie al di sopra dei 1.800 m, popolate nel periodo estivo da specie come spioncello e sordone, che si riproducono esclusivamente in questo tipo di ambiente. Di particolare interesse è la presenza dello stiaccino, un passeriforme simile al saltimpalo, molto raro in Italia.
A estate inoltrata lo spazio aereo al di sopra delle cime è frequentato da balestrucci e rondoni, richiamati dagli sciami di insetti sospinti verso l'alto dalle correnti termiche ascensionali. Nel medesimo periodo anche gheppi e poiane si cimentano nella caccia a piccoli mammiferi delle praterie sommitali. Meno frequenti sono, invece, le aquile reali, che possono essere osservate in caccia in molti ambienti del Parco. La loro presenza è stata favorita dall'introduzione della marmotta, una delle loro prede preferenziali.
Ai limiti della vegetazione arborea si osservano molte specie che si ritrovano poi in tutti gli ambienti di bosco fino al fondovalle. Tra queste, molto rare sono la passera scopaiola e il merlo dal collare. Specie di grande pregio e raramente osservabili sono l'astore, un rapace di grandi dimensioni che caccia lepri e uccelli, e la beccaccia, che ha qui uno dei pochi siti di riproduzione noti in Italia.
Anche tra gli anfibi esistono specie di notevole interesse: la rana temporaria e il tritone alpestre, comuni dai 1.000 metri in su, sono considerate specie relitte dell'epoca glaciale. Altri anfibi come i tritoni crestato e punteggiato, il rospo comune, la raganella, la rana verde e la rana agile sono diffusi in vari ambienti, soprattutto a quote non troppo elevate. Tra i rettili troviamo la comunissima lucertola muraiola, il velocissimo biacco, la biscia dal collare e la vipera.
La presenza umana è una costituente fondamentale del Parco dell'Alto Appennino Reggiano. L'abbondanza di boschi, acque limpide, fauna selvatica e frutti spontanei e la disponibilità di legname e pascoli hanno spinto l'uomo a frequentare l?appennino reggiano fin dai tempi antichi. Studi archeologici fanno risalire al Mesolitico le prime presenze umane. Tuttavia solo nel Medioevo sorsero i primi borghi nei luoghi più esposti, attorno a edifici religiosi, corti e castelli. L'espandersi dei Canossa verso la montagna, intorno al X secolo, fece sorgere diverse nuove fortificazioni, animando anche lo spirito religioso dell'epoca. Schiere di pellegrini, incuranti dei disagi, salivano verso i passi di Cento Croci e Pradarena, sostando nei numerosi ospizi. Nella prima metà del '400 il territorio dell'alta valle del Secchia entrò a far parte dei vasti possedimenti degli Estensi. La valle del Liocca e le terre di Ramiseto e Vallisnera (un tempo "Valle dei Cavalieri") rimasero, invece, per molti secoli sotto la diocesi di parma o delle nobili casate che si succedettero alla guida della città Alla fine del XVII secolo venne progettata una strada che doveva passare per il passo del Cerreto, fino ad allora di scarsa rilevanza; l'opera, ripresa nel periodo napoleonico e completata dagli Estensi intorno al 1840, è oggi la principale via di collegamento tra Reggio e La Spezia. Nel corso dell'ultima guerra la montagna reggiana è stata teatro della lotta partigiana, che in queste valli ha scritto pagine significative, arrivando a controllare vasti settori del territorio e contribuendo alla nasciota della celebre Repubblica Partigiana di Montefiorino.
Centri visita:
- Mostra tematica "Gli animali del Parco" (Ligonchio RE)
- Mostra tematica "La terra e le piante" (Civago RE)
- Mostra tematica "Il tempo e le stelle" (Febbio RE)
- Mostra tematica "L'uomo e la montagna" (Succiso RE)
- Museo dell'acqua (Cerreto Laghi RE): nato all'interno di un antico mulino idraulico sulla riva del giovane Secchia e per questo "tematizzato" dal punto di vista didattico sul ciclo dell'acqua. Citato in documenti fin dal 1498 e rifatto nel '700, il mulino serviva le frazioni di Valbona, Collagna e Cerreto Alpi. Nel 1963 ha cessato definitivamente l'attività molitoria, surclassato dagli opifici a cilindri e dalle moderne normative igienico-sanitarie, non sempre rispettose delle preziose attività residuali. L'intervento di recupero si è svolto nel massimo rispetto delle caratteristiche originarie dell'edificio e così oggi possiamo rivedere l'antico mulino così com'era, compreso l'originale impianto macinante a pale orizzontali. All'esterno è stato predisposto un percorso escursionistico di avvicinamento che introduce al tema dell'acqua e si raccorda con la rete sentieristica del CAI e con i Percorsi Natura numero 17 e 18 segnalati dal Parco.
Gestione:
Sede: Via Nazionale sud, 3/1
42032 Busana (RE)
Sito web: www.parcogigante.it