Zona di origine: Valtellina (Italia).
L’origine di questa razza equina sembra da attribuire all’abbandono di alcuni capi riformati al servizio appartenenti a guarnigioni spagnole presenti come presidio nella zona denominata “Trivio di Fuentes” intorno al XVII secolo.
La zona sopra indicata, nota pure come “Pian di Spagna”, fa intuire pienamente quanto avesse influito la presenza Spagnola in una zona scarsamente abitata e meta dei periodici spostamenti pastorizzi, che conducevano i propri greggi verso pascoli alpini più ricchi nella stagione estiva.
Sulla base di questa breve ricostruzione e sulla analisi iconografica di dipinti dell’epoca, sembra plausibile pensare che gli equini utilizzati all’epoca appartenessero alla razza Andalusa e pertanto si intuisce che fu su questa linea di sangue che si operò per la formazione della razza.
Il nucleo fondatore continuò ad essere allevato per lo più in stretta consanguineità, infatti i cavalli erano scarsamente diffusi nella zona, dove il lavoro di movimentazione del legname e di dissodamento dei campi veniva svolto egregiamente dai forti bovini di razza Bruna alpina all’epoca a triplice attitudine.
Interviste da me svolte a veterinari, commercianti di bestiame e allevatori della provincia di Como che ebbero modo di vedere cavalli di Samolaco durante lo svolgimento delle proprie professioni danno un quadro descrittivo piuttosto preciso.
L’allevamento del C. Samolachese avveniva per lo più in regime stallino, usufruendo della possibilità di pascolo durante l’estate. Molti allevatori ricordano che i cavalli mantenuti in promiscuità con i bovini diventavano magri e bolsi venendo a morte. Tutto ciò portò ad un generale abbandono dell’allevamento della razza, visto che i margini di guadagno sulla vendita di puledri da macello erano tutt’altro che remunerativi.
I cavalli osservati intorno al 1980 da alcuni commercianti di bestiame risultavano ormai fortemente degenerati, presentando notevoli difetti di appiombo e spesso nodelli lungo giuntati. La testa era pesante e disarmonica, il mantello per lo più sauro raramente baio fornito di una folta e lunga criniera spesso di tinta slavata.
L’affermarsi di animali dal tipico mantello sauro pel di vacca sembra da attribuire all’opera sistematica di incrocio documentata fin dal 1954 con stalloni di razza Avelignese che da incrocio di miglioramento, divenne in breve tempo un vero e proprio incrocio di sostituzione (Guardasoni,1954).
Il lavoro World Watch List for domestic animal diversity edito dalla FAO datato 1995 censiva all’epoca 12 soggetti appartenenti all’antica razza Samolaca.
Inoltre sembra che un soggetto Samolaco sia apparso durante un servizio sulla Val Chiavenna della trasmissione RAI Linea Verde.
Allo scopo di meglio chiarire l’origine del cavallo di Samolaco si riporta integralmente un capitolo ad esso dedicato nel testo Fogliata G.: Tipi e Razze Equine Editrice Mariotti Pisa 1910.
“Nella provincia di Sondrio si ha da considerare la così detta razza equina Chiavennese; sono cavalli sobri, rustici, assai resistenti alle fatiche, alle privazioni alle intemperie. Discendono da cavalli abbandonati sul luogo dagli eserciti invasori, probabilmente dagli spagnuoli, ed appartengono al tipo asiatico. Hanno statura e corporatura mezzana, groppa arrotondata, petto largo con testa leggera e buona incollatura. Sono eccellenti cavalli da tiro leggero e trotto, e servono anche per i lavori di campagna. Lo stallone più adatto per le cavalle di questa regione è l’orientale, essendo in origine le cavalle discendenti da questa razza. I puledri lasciano in generale molto a desiderare, a causa dell’insufficiente alimentazione ed il precoce lavoro riescono di bassa statura e gracili di corpo.
Fin dal 1850, sotto il Governo Austriaco nella città di Sondrio funzionano parecchi stalloni, e più tardi ne furono mandati anche dal Governo italiano: da tutti, ma specialmente dai primi furono ottenuti dei buoni prodotti, che vennero ammirati, sia per la bellezza delle loro forme che per la resistenza.
Esistevano prima del 1887 alcune stazioni di monta privata: da quell’anno fu istituita la stazione di monta governativa, e con essa disparvero le private.
“Non molti anni sono la Valtellina faceva un’attiva esportazione di equini, ma essa andava man mano diminuendo, ed ora è superata dall’esportazione” (Clivio).
Da queste notizie si trae la cognizione che esiste una razza valtellinese, con centro di produzione in Chiavenna, di tipo orientale, che fu prosperosa un tempo quando era lasciata a sé stessa, tanto che ne era notevole l’esportazione, e che dopo la istituzione della stazione di monta governativa, le parti si sono invertite. Infatti mentre il direttore Clivio suggerisce che lo stallone da inviarsi a quella stazione sia un orientale, lo stallone che vi viene mandato è un Hackney inglese. Sicché ammesso che quella piccola razza chiavennese avesse realmente notevoli pregi, specialmente stimabili per l’attitudine spiccata al lavoro in collina, quei pregi si vollero distruggere con un incrociamento disadatto, che l’Hackney non è, ne può essere, utile riproduttore di cavalli quali occorrono sulle colline e sui monti.
E così contrariamente a quanto fa il Governo Ungherese, il quale ha creato la razza di Fogaras a 700 metri sul livello del mare, per avere riproduttori atti ad accoppiarsi con le cavalle di montagna, noi mandiamo sui pendii alpini lo stesso stallone che adoperiamo nelle basse e lussureggianti e piane praterie lombarde!!
Ma forse converrà prestare maggior fede a quanto ha detto il Prof. Lemoigne nelle sue conferenze tenute in Valtellina, che cioè questa provincia non è, ne può essere, paese di cavalli. Se ciò è vero, però, si domanda a quale scopo fu istituita colà una stazione governativa di monta equina”.
Dott. Alessio Zanon - Università degli Studi di Parma