Svolgi la prova, scegliendo una delle quattro tipologie qui proposte.
TIPOLOGIA A |
ANALISI DEL TESTO |
Giuseppe Ungaretti, L’isola (da Sentimento del tempo, 1919-1935, e in Vita d’un uomo, Mondadori, 1992)
1 |
A una proda ove sera era perenne |
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L’ombra negli occhi s’addensava |
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Di anziane selve assorte, scese, |
15 |
Delle vergini3 come |
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E s’inoltrò |
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Sera appiè degli ulivi; |
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E lo richiamò rumore di penne |
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Distillavano i rami |
5 |
Ch’erasi sciolto1 dallo stridulo |
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Una pioggia pigra di dardi, |
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Batticuore dell’acqua torrida, |
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Qua pecore s’erano appisolate |
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E una larva (languiva |
20 |
Sotto il liscio tepore, |
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E rifioriva) vide; |
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Altre brucavano |
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Ritornato a salire vide |
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La coltre luminosa; |
10 |
Ch’era una ninfa e dormiva |
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Le mani del pastore erano un vetro |
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Ritta abbracciata ad un olmo. |
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Levigato da fioca febbre. |
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In sé da simulacro a fiamma vera |
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Errando2, giunse a un prato ove |
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1 - erasi sciolto: si era staccato,
sollevato
2 - In sé…Errando: vagando col pensiero da una visione larvata ad
una sensazione più forte
3 - L’ombra…delle vergini: negli occhi delle ninfe si
addensava l’ombra (del sonno, ma anche della zona boscosa).
Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto, 1888 – Milano, 1970) di famiglia lucchese, dall’Egitto si trasferì in Europa, desideroso di fare nuove esperienze di vita e di cultura. Ebbe contatti a Parigi con la poesia simbolista e postsimbolista e con la filosofia di Bergson. Nella Prima Guerra Mondiale combatté in Italia, sul Carso. Visse a lungo a Roma. Sue principali raccolte poetiche: L’Allegria, 1919; Sentimento del tempo, 1933; Il Dolore, 1947; Terra promessa, 1950 (tutte con successive edizioni ampliate). – La lirica L’isola (del 1925, poi rielaborata) rievoca, come un sogno, una visita che Ungaretti, da Roma, aveva compiuto nella campagna intorno a Tivoli: non si tratta di una vera isola, ma di un paesaggio campestre, arcadico, in cui il poeta si era isolato e immerso, trasfigurando presenze reali in immagini mitiche.
1. Comprensione del testo
Partendo dalla presentazione che trovi nelle righe precedenti, dopo aver riletto alcune volte l’intera lirica, riassumine il contenuto informativo (movimenti del poeta nei luoghi; altre presenze reali; figure immaginarie).
2. Analisi del testo
2.1. A quale personaggio si riferiscono i verbi scese, s’inoltrò, vide (due volte), giunse (nei versi 2, 3, 8 ,9 e 13)? Che tempi del verbo sono?
2.2. Cerca le forme dei verbi all’imperfetto. A quali elementi e aspetti della scena si riferiscono? Quale contrasto creano questi verbi all’imperfetto con quelli indicati nella domanda precedente?
2.3. Molte parole indicano l’ombra, la sera, il sonno: è davvero sera o si tratta di un contrasto tra zone del paesaggio? Nota e commenta le espressioni ove sera era perenne (v. 1), acqua torrida (v. 6), la coltre luminosa (v. 22).
2.4. Spiega, anche con l’aiuto del dizionario, le parole proda (v. 1), larva (v. 7) e simulacro (v. 12).
2.5. Quale scena descrivono i versi 4-6? Metti insieme le sensazioni che ricavi dalle espressioni rumore di penne, stridulo batticuore, acqua torrida e dal verbo erasi sciolto.
2.6. Al v. 18 i dardi sono i raggi del sole che scendono attraverso i rami. Commenta l’espressione pioggia pigra di dardi, in cui un carattere umano, la pigrizia, è attribuito ad un elemento naturale.
2.7. Commenta i due versi finali, rendendo con parole tue l’aspetto delle mani del pastore. (Ricorda che non lontano da Tivoli, nella campagna romana, a quel tempo era ancora diffusa la febbre malarica).
3. Interpretazione complessiva e approfondimenti
Riflettendo su questa lirica, e utilizzando le tue conoscenze di altre poesie di Ungaretti, commenta nell’insieme questo testo, per metterne in evidenza la libertà metrica e l’intreccio di richiami simbolici, che sfuggono a una ricostruzione logica ordinaria. Riferisciti anche al quadro generale delle tendenze poetiche, artistiche e culturali del primo Novecento in Italia e in Europa.
TIPOLOGIA
B |
Redazione di un "SAGGIO BREVE" o di un "ARTICOLO DI GIORNALE |
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(puoi scegliere uno degli argomenti relativi ai quattro ambiti proposti)
CONSEGNE
Sviluppa
l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di
giornale”, utilizzando i documenti e i dati che lo corredano.
Se
scegli la forma del “saggio breve”, interpreta e confronta i
documenti e i dati forniti e su questa base svolgi, argomentandola, la tua
trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze
di studio.
Da’
al saggio un titolo coerente con la tua trattazione e ipotizzane una
destinazione editoriale (rivista specialistica, fascicolo scolastico di
ricerca e documentazione, rassegna di argomento culturale, altro).
Se
lo ritieni, organizza la trattazione suddividendola in paragrafi cui potrai
dare eventualmente uno specifico titolo.
Se
scegli la forma dell’ “articolo di giornale”, individua nei documenti e
nei dati forniti uno o più elementi che ti sembrano rilevanti e costruisci su
di essi il tuo ‘pezzo’.
Da’
all’articolo un titolo appropriato ed indica il tipo di giornale sul quale
ne ipotizzi la pubblicazione (quotidiano, rivista divulgativa, giornale
scolastico, altro).
Per
attualizzare l’argomento, puoi riferirti a circostanze immaginarie o reali
(mostre, anniversari, convegni o eventi di rilievo).
Per entrambe le forme di scrittura non superare
le quattro o cinque colonne di metà di foglio protocollo.
1. AMBITO ARTISTICO - LETTERARIO
ARGOMENTO: Il distacco nell’esperienza ricorrente dell’esistenza umana: senso di perdita e di straniamento, fruttuoso percorso di crescita personale.
DOCUMENTI
Dopo aver traversato terre e mari, |
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Ma ora, così come sono, accetta queste offerte |
eccomi, con queste povere offerte agli dèi sotterranei, |
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bagnate di molto pianto fraterno: |
estremo dono di morte per te, fratello, |
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le porto seguendo l’antica usanza degli avi, |
a dire vane parole alle tue ceneri mute, |
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come dolente dono agli dèi sotterranei. |
perché te, proprio te, la sorte m’ ha portato via, |
|
E ti saluto per sempre, fratello, addio! |
infelice fratello, strappato a me così crudelmente. |
|
CATULLO, Dopo aver
traversato terre e mari, |
Da' colli Euganei, 11 Ottobre 1797
«Il sacrificio
della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà
concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra
infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch'io
per salvarmi da chi m'opprime mi commetta a chi mi ha tradito? Consola mia
madre: vinto dalle sue lagrime le ho ubbidito, e ho lasciato Venezia per
evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare
anche questa mia solitudine antica, dove, senza perdere dagli occhi il mio
sciagurato paese, posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tu mi fai
raccapricciare, Lorenzo; quanti sono dunque gli sventurati? E noi, purtroppo,
noi stessi italiani ci laviamo le mani nel sangue degl'italiani. Per me segua
che può. Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto
tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra le braccia straniere; il mio
nome sarà sommessamente compianto da' pochi uomini buoni, compagni delle
nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la terra de' miei padri»
U. FOSCOLO, Ultime lettere di
Jacopo Ortis, 1802
«Addio, monti
sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è
cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto
de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio, come il
suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come
branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto
tra voi, se ne allontana!...Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero
occulto, s'imparò a distinguere dal rumore de' passi comuni il rumore d'un
passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa
sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella
quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio,
chiesa, dove l'animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore;
dov'era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva
essere solennemente benedetto, e l'amore venir comandato, e chiamarsi santo;
addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia
de' suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.»
A. MANZONI, I Promessi Sposi, cap.
VIII, 1840
«Era il primo
squarcio nella santità del babbo, la prima crepa nei pilastri che avevano
sorretto la mia vita infantile e che ogni uomo deve abbattere prima di
diventare se stesso. La linea essenziale del nostro destino è fatta di queste
esperienze che nessuno vede. Quello squarcio e quella crepa si richiudono, si
rimarginano e vengono dimenticati, ma in fondo al cuore continuano a vivere e
a sanguinare.
Io stesso ebbi subito orrore di quel nuovo
sentimento e avrei voluto buttarmi ai piedi di mio padre per farmelo
perdonare. Ma non si può farsi perdonare le cose essenziali: lo sente e lo sa
il bambino con la stessa profondità dell’uomo saggio.
Sentivo il bisogno di riflettere e di trovare
una via d’uscita per l’indomani, ma non vi riuscii. Tutta la sera fui
occupato ad assuefarmi alla mutata atmosfera del nostro salotto. La pendola e
la tavola, la Bibbia e lo specchio, lo scaffale e i quadri alla parete
prendevano commiato da me, e col cuore sempre più freddo ero costretto a
veder sprofondare nel passato e staccarsi da me il mio mondo e la mia bella
vita felice. Ero costretto a sentire le mie nuove radici che affondavano nel
buio e succhiavano un mondo estraneo. Per la prima volta assaggiai la morte
che ha un sapore amaro perché è nascita, angoscia e paura di un tremendo
rinnovamento»
H.
HESSE: Demian,1919, trad. it Mondadori, 1961
«Ero partita per
il Nord immaginando che la pena dell'addio si sarebbe consumata al momento dei
saluti. In mezzo a un mondo ricco di novità eccitanti - un mondo che
aspettava solo me -, la mia nostalgia era destinata a sbiadire rapidamente.
Così fantasticavo, e le mie fantasie di adolescente sconfinavano spesso
nell'esaltazione.
Ma l'impatto fu atroce.
Quando, con un gesto deciso, si lacera un pezzo di stoffa, ci restano tra le
mani due brandelli malinconicamente sfrangiati, e occorre lavorare con minuzia
e pazienza per rimediare.
Le sfilacciature rimaste dopo lo strappo dalle nostre consuetudini meridionali
erano tante, e ci vollero anni perché io e la mia famiglia potessimo
restaurare i lembi delle nostre identità lacerate.
L'ansia suscitata in noi da modi di vita che ci erano estranei si manifestava
sotto forma di diffidenza. E poi c'era la nostalgia, che non voleva sbiadire.
E la retorica, che la sobillava.»
G. SCHELOTTO, Distacchi e altri
addii, Mondadori, 2003
«Siamo tutti
migranti. Stiamo permanentemente abbandonando una terra per trasferirci
altrove. Siamo migranti quando lasciamo i vecchi schemi e le vecchie abitudini
per aprirci a nuove circostanze di vita. Un matrimonio, una separazione, la
morte di una persona cara, un viaggio non da turisti, persino la lettura di un
libro sono delle migrazioni interiori. Poi c'è la migrazione di chi lascia la
madre terra per vivere altrove: una volta gli uccelli, oggi gli uomini. Ogni
migrazione esteriore a poco a poco diventa anche interiore. Gli ostacoli
possono trasformarsi in occasione di crescita. E' un processo lungo e
doloroso. Chi sono? Sono tutti i miei personaggi ("Madame Bovary c'est
moi!" diceva Flaubert). Tutte le mie storie hanno qualcosa di me e
nascono probabilmente dai miei conflitti interni. Le mie origini sono
portoghesi, da parte della famiglia di mio padre, e tedesche (prussiane) da
parte di mia madre. Ho vissuto l'infanzia in Brasile, la mia vera patria;
penso che il mio italiano sarà sempre un po' lusofonico. Se sono arrivata a
destinazione? Fortunatamente no. Solo nel momento della mia morte potrò dire
di esserci arrivata. E anche allora penso che inizierò un nuovo viaggio. Una
nuova migrazione.»
Da un’intervista di C. Collina
alla scrittrice brasiliana Christiana de CALDAS BRITO,
in “Leggere-Donna”, n. 98, Ferrara, 2002
«Quando uno
parte, si sa, dev’essere pronto a tornare o a non tornare affatto. È una
porta che lui apre all’interno di una stanza buia, e che a volte si
rinchiude da sola alle sue spalle.
Già emigrare – partire con un’idea chiara
del non ritorno – è la radicalizzazione di questa esperienza. È rinunciare
a un certo “se stesso” (e quindi accettare il lutto di vederlo prima
atrofizzarsi e poi perire per totale assenza di contiguità con i personaggi
del passato), per scommettere su un futuro “se stesso” totalmente
ipotetico: un rischio assoluto. Quando la scimmia lascia il ramo dov’è
appesa, per aggrapparsi a un altro che ha intravisto tra il fogliame, può
sembrare a chi l’osserva che voglia spiccare il volo senza ali di sorta. Ma
per istinto la scimmia sa benissimo che non precipiterà nel vuoto. Allo
stesso modo, qualcosa dentro al migrante sa dove si trova esattamente il ramo
che lo aspetta, che aspetta le sue mani sicure, ed è questo qualcosa che lo
spinge al salto»
Da un’intervista allo scrittore
brasiliano Julio MONTEIRO MARTINS, a cura della redazione
di “Voci dal silenzio – Culture e letteratura della migrazione”, Ferrara
- Lucca, dicembre 2003
«La partenza
[per De Chirico] è un distacco traumatico, con riferimenti biografici (da
Volos, cioè dalla sua città natale, partirono gli Argonauti alla ricerca del
vello d’oro), ma anche con un destino di viaggi e delusioni, avventure e
depressioni, fino ad una probabile conquista…Un nuovo arrivo e subito dopo
una nuova partenza: resta quello di Odisseo il mito centrale per De Chirico,
l’uomo che ricerca se stesso attraverso la peregrinazione e la perdita di
tutto, tranne che della memoria»
M. FAGIOLO DELL’ARCO, Pensare per immagini,
in “I classici dell’arte - il Novecento - De Chirico”, Rizzoli 2004
G. DE CHIRICO, L’angoscia della partenza, 1913
2. AMBITO SOCIO - ECONOMICO
ARGOMENTO: Città e periferie: paradigmi della vita associata, fattori di promozione della identità personale e collettiva.
DOCUMENTI
«Quale uso
fare della città? Quale uso se ne è fatto nella Storia? Quante utopie
hanno attraversato il concetto sfumato ai bordi di “città ideale”? E
quanti abusi? Se rivolgiamo i nostri pensieri alle città europee così come
ci sono state consegnate dalla Storia, ecco che i confronti con l’attualità
diventano subito un atto dovuto e altrettanto ineludibili i riferimenti ai
disagi metropolitani di cui siamo testimoni oltre che recalcitranti vittime
designate…I due problemi con i quali ci siamo trovati a fare i conti nelle
città europee negli ultimi decenni sono il traffico automobilistico e il
degrado o la manomissione dei Centri Storici»
L. MALERBA, Città e dintorni,
Milano 2001
«La città
tradizionale dell’Europa mediterranea, che viene generalmente presa come
modello…, è un organismo a tre elementi attorno ai quali si ripartiscono
le sue attività e si definisce il suo ruolo. Il primo è l’elemento
sacro, che simbolizza la protezione degli dei e impone dei doveri
collettivi, generatori di disciplina. Il secondo è l’elemento militare, o
della sovranità, rappresentativo del potere e del possesso dello spazio
dominato dalla città…Il terzo è il mercato con i suoi annessi
artigianali, luoghi dove si realizza l’economia specificamente
cittadina…Nella misura in cui il mercato rappresenta il luogo della
riunione funzionale della popolazione attiva della città, esso può
divenire simbolo di democrazia..., ma può anche essere simbolo
dell’affermazione dell’autorità del sovrano…Dovunque si presenti, la
città ripropone sempre i tre elementi mediterranei unendo il sacro, il
politico e l’economico…All’inizio del XX secolo le città europee
sono, di fatto, delle città socialmente settorializzate, esclusivamente su
basi qualitative: quartieri di lusso e quartieri operai, o quartieri
poveri…Nella nostra epoca la prima spinta di crescita urbana che spezza i
ritmi lenti e unitari del passato è quella del periodo che intercorre tra
le due guerre mondiali…
A questo punto il quadro urbano risulta
superato e le città tendono a scoppiare…L’unità spaziale tra lavoro,
tempo libero e vita privata, e abitazione, che era caratteristica della città
del passato, è ormai rotta…»
Dalla voce Città, curata da P. GEORGE, nella “Enciclopedia delle scienze sociali”,
Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol.I, Roma, 1991
«Il
sopravvento della periferia ha sdoppiato l’identità urbana tra un centro
strutturato, sedimentato e riconoscibile e un “resto” per molti
aspetti casuale (Vittorini). L’anomalia periferica si presenta in termini
relativi come “altro dalla città”, e in termini assoluti, come
incompiutezza, disordine, irriconoscibilità, bruttezza: “un nuovo oggetto
storico” senza limiti, né soglie; un “dappertutto che è nessun
luogo” (Rella)»
F. PEREGO, “Europolis e la
variabile della qualità urbana” in AA.VV. Europolis –
La riqualificazione delle città in Europa. Periferie oggi, Roma-Bari,
1990
«Le periferie
non sono dei “non luoghi”. Con l’espressione “non luogo”
caratterizzo un certo tipo di spazio dentro la nostra società
contemporanea. Il “luogo” per un antropologo è uno spazio nel quale
tutto fa segno. O, più esattamente, è un luogo nel quale si può leggere
attraverso l’organizzazione dello spazio tutta la struttura sociale…Oggi
viviamo in un mondo nel quale lo spazio dei “non luoghi” si è di molto
accresciuto. “Non luoghi” sono gli spazi della circolazione, del
consumo, della comunicazione, eccetera. Sono spazi di solitudine…Prendiamo
l’esempio di un supermercato. Ha tutti gli aspetti di un “non luogo”.
Ma un supermercato può diventare anche un luogo di appuntamento per i
giovani. Talvolta, anzi, è il solo “luogo”. Da questo punto di vista si
può dire che le banlieues sono dei “non luoghi” per la gente che viene
da fuori…Ma sono, viceversa , dei “luoghi” di vita per molte persone»
M. AUGÉ, L’incendio di Parigi,
“MicroMega” n. 7/2005
«Se le nostre
città non si riqualificano, a cominciare dalle periferie, consegneremo alle
nuove generazioni un futuro di barbarie…La più grave malattia delle città
si chiama esplosione urbana - dice Piano - una crescita forsennata, che
dobbiamo correggere con interventi mirati per integrare il tessuto
urbanistico e sociale delle periferie con il resto della città». Quindi,
demolire o riqualificare i mostri in cemento nelle periferie? «La
demolizione è un rimedio estremo, al quale ricorrere soltanto quando
mancano i requisiti minimi della vivibilità, per esempio la luce e la
tutela della salute». La seconda proposta riguarda le funzioni dei
quartieri periferici. «La loro vita non può ridursi solo alla dimensione
residenziale, così sono condannati a trasformarsi in giganteschi dormitori
- afferma Piano - non a caso, quando ho progettato l’auditorium a Roma, ho
voluto definirlo la fabbrica della musica. Attorno alle sale, in un’area
di venti ettari, ho ipotizzato un parco pubblico, negozi, residenze e
perfino un albergo». Il terzo punto decisivo del «manifesto» di Renzo
Piano riguarda proprio gli architetti e il loro modo di lavorare. «Ogni
angolo di territorio urbano che torna a vivere è anche un’opportunità
economica. Per tutti - ... - a cominciare dagli architetti. Noi abbiamo
bisogno di competenza e di umiltà. Pensare in grande, ma accontentarsi
anche di piccoli progetti. E avere sempre una bussola etica perché
attraverso la microchirurgia sul territorio può passare anche un nuovo
umanesimo della vita urbana. Nelle periferie, l’immigrazione diventa più
sostenibile se si impedisce che alla separazione sociale si sovrapponga
quella etnica. Come accade, purtroppo, nei quartieri dormitorio»
A. GALDO, Periferie: la profezia
di Piano, IL MATTINO, 16/11/2005
«La città è
anzitutto lo sguardo che la osserva e l’animo che la vive; …La Città
dell’antichità, anche quando è il centro di un potente impero, appare in
una luce di gloria inseparabile dalla caducità, dall’eterno destino di
vanità delle cose umane: Ninive, Persepoli o Babilonia evocano grandezza e
rovina, indissolubili come le due facce di una moneta; …Atene, culla della
civiltà e della politica mondiale, è la Polis, la città in cui i rapporti
umani sono personali e concreti e tutto è visibile e tangibile, pure il
meccanismo della vita sociale e del potere. Solo Roma - la Roma imperiale e
promiscua del Satyricon - è una metropoli nel senso moderno, più simile a
Londra o a New York che alle città greche, egizie od orientali
dell’antichità. Nella modernità, la città si identifica con la
borghesia - più tardi col proletariato industriale…la città, con le sue
trasformazioni che sventrano e smontano il passato, è il movimento stesso
delle sorti e dei sentimenti umani, il ritmo della vita e della storia che
la racconta. La metropoli...cambia la sensibilità e la percezione
dell’individuo, diviene una sua pelle sensibilissima che reagisce, anche e
soprattutto subliminalmente, al continuo bombardamento di stimoli veloci ed
effimeri»
C. MAGRIS, Amori,
speranze, morte, le città della nostra vita, CORRIERE DELLA
SERA, 9/9/2005
«La periferia,
lo si voglia o no, è la città moderna, è la città che abbiamo
costruito…Se non sapremo di questa città cogliere non solo gli aspetti
negativi, che sono tanti e indiscutibili, ma anche gli aspetti positivi,
difficilmente riusciremo a rovesciare un processo che minaccia di travolgere
il senso profondo della città, quella funzione di cui così chiaramente
parla Aristotele quando dice che gli uomini hanno fondato la città per
vivere meglio insieme… Secondo me la periferia è soprattutto una città
non finita o meglio che non ha ancora raggiunto il momento della qualità,
ma i famosi centri storici...sono stati anch’essi, prima di raggiungere
questa condizione di equilibrio che ne sancisce l’intoccabilità, delle
opere non compiute...Perché allora non guardare alla periferia non soltanto
con il giusto sdegno che meritano i suoi particolari slegati, le sue
caratteristiche di incompiutezza e di mancanza di significato, ma anche con
umanistica “pietas” e cioè con amore, come una realtà da affrontare,
di cui aver cura, in cui rispecchiare noi stessi in quanto essa è
bene o male il prodotto delle nostre illusioni, delle nostre buone
intenzioni non realizzate?»
P. PORTOGHESI,
Riprogettare la città, in AA.VV.
Europolis –
La riqualificazione delle città in Europa. Periferie oggi, Roma-Bari, 1990
«È delle città
come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno
più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio,
una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure,
anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le
prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra...Anche le città
credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né
l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette
o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. –
O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere, come Tebe per bocca
della Sfinge»
I. CALVINO, Le città invisibili,
1972, III
3. AMBITO STORICO - POLITICO
ARGOMENTO: Democrazia e nazione, unità d’Italia e d’Europa, libertà e fratellanza sono i cardini del pensiero politico di Giuseppe Mazzini (1805-1872).
DOCUMENTI
«V’è nella mente
di tanti italiani un Mazzini immaginario. V’è un Mazzini patriota, il più
ardente patriota: uno dei “quattro fattori d’Italia” bene accostato,
nelle poetiche sintesi e nelle narrazioni usuali, a Garibaldi, come a Cavour
e a Vittorio Emanuele II;…V’è un Mazzini cospiratore…V’è un
Mazzini pensatore sprofondato a dettare comandamenti, precetti morali, a
formulare una dottrina morale, non solo per la politica ma per l’economia
sociale…V’è un Mazzini quasi quasi ancora interessante, eccitatore di
meditazioni, di elucubrazioni sul fatale andare dell’evoluzione sociale,
sui guai che essa conduce seco; c’è un Mazzini morto per il tempo nostro,
cioè superato, e non in grado di rispondere alle imperiose domande
dell’attualità…Vorrei dir meglio: che sia giunto il momento
dell’inizio di un serio studio del pensiero mazziniano, per il quale siano
bandite la predica delle formule, la ripetizione delle frasi fatte, la
retorica di inconcludenti cosiddetti cultori delle dottrine del (iniziale
maiuscola) Maestro, e siano seguite indicazioni e ispirazioni per
un’azione feconda di tutti coloro i quali sono impegnati nella politica,
nel movimento sociale?»
G. CONTI, Alle fiamme il
manichino, in G. Mazzini. L’uomo e le idee, Roma, Edizioni Nuova
Repubblica, 1998
Dal Manifesto del
triumvirato della Repubblica Romana (Armellini, Mazzini, Saffi), 5 aprile
1849:
«…Noi non siamo Governo d’un partito,
ma Governo della Nazione…Né intolleranza né debolezza. La Repubblica è
conciliatrice ed energica...La Nazione ha vinto…Il suo Governo deve avere
la calma generosa e serena, e non deve conoscere gli abusi della vittoria.
Inesorabile quanto al principio, tollerante e imparziale con gl’individui;
né codardo né provocatore: tale dev’essere un Governo per essere degno
dell’istituzione repubblicana. Economia negli impieghi; moralità nella
scelta degl’impiegati; capacità, accertata dovunque si può per concorso,
messa a capo d’ogni ufficio, nella sfera amministrativa. Ordine e severità
di verificazione e censura nella sfera finanziaria; limitazione di spese,
guerra ad ogni prodigalità…Non guerra di classi, non ostilità alle
ricchezze acquistate, non violazioni improvvide o ingiuste di proprietà, ma
tendenza continua al miglioramento materiale dei meno favoriti dalla
fortuna, e volontà ferma di ristabilire il credito dello Stato, e freno a
qualunque egoismo colpevole di monopolio, d’artificio, o di resistenza
passiva…Poche e caute leggi, ma vigilanza decisa sull’esecuzione…Sono
queste le basi generali del nostro programma».
G. MAZZINI, Scritti, Roma, 1877,
vol. VII
«La tendenza
democratica dei nostri tempi, il moto di ascesa delle classi popolari
desiderose di prender parte alla vita politica – finora riservata a una
cerchia di privilegiati – non è più un sogno utopico, né un’incerta
previsione: è un fatto, un grande fatto europeo che occupa ogni mente,
incide sugli indirizzi dei governi, sfida ogni opposizione…Le idee che
hanno agitato per lungo tempo il campo della Democrazia, quando vengono
ponderatamente esaminate, possono essere raggruppate in due grandi dottrine;
le quali, a loro volta, potrebbero essere riassunte in due parole: Diritti e
Doveri. Dietro queste due grandi dottrine ci sono certo numerose varietà, e
le varietà apparenti sono ancora di più…la Democrazia è soprattutto un
problema educativo, e poiché il valore dell’educazione dipende dalla
verità del principio su cui si basa, l’intero futuro della Democrazia è
condizionato da tale questione».
G. MAZZINI, in “People’s Journal”, n.
35,
28/8/1846 e n. 40, 3/10/1846, ora in
Pensieri sulla Democrazia in Europa, a cura di S. Mastellone, Milano,
Feltrinelli, 1997
«Dubito che, nella
sua generazione, ci sia stato nessuno che abbia esercitato sui destini
dell’Europa un’influenza altrettanto profonda. La carta dell’Europa
quale la vediamo oggi è quella di Giuseppe Mazzini. Mazzini è stato il
profeta della libera nazionalità…Lo splendido edificio innalzato da
Bismarck è miseramente disfatto, ma i sogni di quel giovane, venuto in
Inghilterra come esule e vissuto qui anni e anni in povertà, vivendo della
carità degli amici e armato soltanto della sua penna, sono ora diventati
stupefacenti realtà in tutto il continente…Non ci ha insegnato soltanto i
diritti di una nazione: ci ha insegnato i diritti delle altre…Mazzini è
il padre dell’idea della Lega delle Nazioni».
LLOYD GEORGE, in “The Times”,
29/6/1922, riportato in Denis MACK SMITH, Mazzini, Milano, Rizzoli, 1993
«Non si può
ricordare degnamente Mazzini senza mettere in rilievo il fondamento
etico-religioso del suo pensiero politico, che tendeva ad un laicismo che
non fosse privo di spiritualità, e ad una politica che non mancasse di
moralità».
L. STURZO, Dio e popolo (12
maggio 1949), in G. Mazzini. L’uomo e le idee, Roma, Edizioni Nuova
Repubblica, 1998
4. AMBITO TECNICO - SCIENTIFICO
ARGOMENTO: Finalità e limiti della conoscenza scientifica: che cosa ci dice la scienza sul mondo che ci circonda, su noi stessi e sul senso della vita?
DOCUMENTI
«Noi sentiamo
che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto
risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppur toccati. Certo
allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta».
L. WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus, 1921, 6.52
«Viviamo in un
mondo che ci disorienta con la sua complessità. Vogliamo comprendere ciò
che vediamo attorno a noi e chiederci: Qual è la natura dell’universo?
Qual è il nostro posto in esso? Da che cosa ha avuto origine l’universo e
da dove veniamo noi?…quand’anche ci fosse una sola teoria unificata
possibile, essa sarebbe solo un insieme di regole e di equazioni. Che cos’è
che infonde vita nelle equazioni e che costruisce un universo che possa
essere descritto da esse? L’approccio consueto della scienza, consistente
nel costruire un modello matematico, non può rispondere alle domande del
perché dovrebbe esserci un universo reale descrivibile da quel modello.
Perché l’universo si dà la pena di esistere?...Se però perverremo a
scoprire una teoria completa, essa dovrebbe essere col tempo comprensibile a
tutti nei suoi principi generali, e non solo a pochi scienziati. Noi tutti -
filosofi, scienziati e gente comune - dovremmo allora essere in grado di
partecipare alla discussione del problema del perché noi e
l’universo esistiamo. Se riusciremo a trovare la risposta a questa
domanda, decreteremo il trionfo definitivo della ragione umana: giacché
allora conosceremmo la mente di Dio»
S. HAWKING, Dal Big Bang ai buchi
neri, 1988
«Come
l’arte, anche la scienza non è affatto semplicemente una attività
culturale dell’uomo. La scienza è un modo, e un modo decisivo, in cui si
presenta a noi tutto ciò che è. Per questo dobbiamo dire che la realtà,
entro la quale l’uomo odierno si muove e si sforza di mantenersi, è
codeterminata in misura crescente nei suoi tratti fondamentali da ciò che
si usa chiamare la scienza occidentale o la scienza europea. Se riflettiamo
su questo processo, vediamo che la scienza, nel mondo occidentale e nelle
varie epoche della storia di questo, ha sviluppato una potenza mai prima
conosciuta sulla terra ed è sul punto di estendere conclusivamente questa
potenza su tutto il globo terrestre. Si può dire che la scienza sia solo un
prodotto dell’uomo sviluppatosi fino a questo livello di dominio, così
che ci si potrebbe aspettare che un giorno…sia anche possibile rovesciare
questo suo dominio? Oppure qui domina un destino di più ampia portata?
Forse nella scienza c’è qualcos’altro che domina, oltre al puro
voler-sapere dell’uomo? In effetti è proprio così. C’è
qualcos’altro che qui domina. Ma questo altro ci si nasconde, fino a che
rimaniamo attaccati alle rappresentazioni correnti della scienza»
M. HEIDEGGER, Scienza e
meditazione, Conferenza tenuta a Monaco il 4/8/1953, ora in Saggi e
discorsi, 1957
«I progressi
della scienza sono un capitolo tra i più affascinanti nella storia del
nostro tempo. I suoi enormi successi sono stati raggiunti, peraltro,
attraverso una delimitazione metodica. Ci si è limitati strettamente e del
tutto consapevolmente a ricercare soltanto ciò che poteva essere misurato e
contato. Ma ogni delimitazione comporta anche dei confini e dunque sono
“rimaste fuori” tutte le questioni che riguardano il perché
dell’esistenza, da dove veniamo, dove andiamo». Quindi? «Se gli
scienziati affermassero che quanto hanno scoperto esaurisce tutta la realtà,
si avrebbe un superamento dei limiti. E allora si deve replicare, non tanto
per motivi di fede ma per motivi di ragione: “Questo è troppo poco”.
L’intelligenza umana va oltre il misurabile e l’enumerabile. Arriva
anche alle grandi questioni metafisiche, alla domanda di senso»
Da un’intervista a Ch. Schoenborn, in M. POLITI, C’è un Disegno nell’universo, LA REPUBBLICA,
6/11/2005
«Ogni
volta che un filosofo vi dirà di aver scoperta la verità definitiva non
credetegli; e non credetegli neppure se vi dirà di aver individuato il bene
supremo. Egli, infatti, si limiterebbe a ripetere gli errori commessi dai
suoi predecessori per duemila anni…Si pretenda dal filosofo che sia
modesto come lo scienziato; allora egli potrà avere il successo dell’uomo
di scienza. Ma non gli si chieda che cosa dobbiamo fare. Ascoltiamo
piuttosto la nostra volontà e cerchiamo di unirla a quella degli altri. Il
mondo non ha alcuno scopo o significato all’infuori di quello che vi
introduciamo noi»
H. REICHENBACH, La nascita della
filosofia scientifica, 1951, trad. it. 1961
«La scienza,
che cominciò come ricerca della verità, sta divenendo incompatibile con la
veridicità, poiché la completa veridicità tende sempre più al completo
scetticismo scientifico. Quando la scienza è considerata contemplativamente,
non praticamente, ci si accorge che ciò che crediamo lo crediamo per la
nostra fede animale, e che alla scienza dobbiamo solo i nostri disinganni.
Quando, d’altro canto, la scienza si considera come una tecnica per la
trasformazione di noi stessi e di quanto ci sta attorno, vediamo che ci dà
un potere del tutto indipendente dalla sua validità metafisica. Ma noi
possiamo solo usare questa potenza, cessando di rivolgerci delle domande
metafisiche sulla natura della realtà. Eppure queste domande sono la
testimonianza dell’atteggiamento di amore verso il mondo. Così, solo in
quanto noi rinunciamo al mondo come amanti, possiamo conquistarlo da
tecnici. Ma questa divisione dell’anima è fatale a ciò che vi è di
meglio nell’uomo. Non appena si comprende l’insuccesso della scienza
considerata come metafisica, il potere conferito dalla scienza come tecnica
si otterrà solo da qualcosa di analogo alla adorazione di Satana, cioè,
dalla rinuncia dell’amore…La sfera dei valori sta al di fuori della
scienza, salvo nel tratto in cui la scienza consiste della ricerca del
sapere. La scienza, come ricerca del potere, non deve ostacolare la sfera
dei valori, e la tecnica scientifica, se vuole arricchire la vita umana, non
deve superare i fini a cui dovrebbe servire»
B. RUSSELL, La visione
scientifica del mondo, cap. XVII, 1931
«Le mere
scienze di fatti creano meri uomini di fatto…Nella miseria della nostra
vita – si sente dire – questa scienza non ha niente da dirci. Essa
esclude di principio proprio quei problemi che sono i più scottanti per
l’uomo, il quale, nei nostri tempi tormentati, si sente in balìa del
destino; i problemi del senso o del non-senso dell’esistenza umana nel suo
complesso…concernono l’uomo nel suo comportamento di fronte al mondo
circostante umano ed extra-umano, l’uomo che deve liberamente scegliere,
l’uomo che è libero di plasmare razionalmente se stesso e il mondo che lo
circonda. Che cos’ha da dire questa scienza sulla ragione e sulla
non-ragione, che cos’ha da dire su noi uomini in quanto soggetti di questa
libertà?…La verità scientifica obiettiva è esclusivamente una
constatazione di ciò che il mondo, sia il mondo psichico sia il mondo
spirituale, di fatto è. Ma in realtà, il mondo e l’esistenza umana
possono avere un senso se le scienze ammettono come valido e come vero
soltanto ciò che è obiettivamente constatabile, se la storia non ha altro
da insegnare se non che tutte le forme del mondo spirituale, tutti i legami
di vita, gli ideali, le norme che volta per volta hanno fornito una
direzione agli uomini, si formano e poi si dissolvono come onde fuggenti,
che così è sempre stato e sempre sarà, che la ragione è destinata a
trasformarsi sempre di nuovo in non-senso, gli atti provvidi in flagelli?
Possiamo accontentarci di ciò, possiamo vivere in questo mondo in cui il
divenire storico non è altro che una catena incessante di slanci illusori e
di amare delusioni? »
E. HUSSERL, La crisi delle
scienze europee, ed. post. 1959, § 2, passim
TIPOLOGIA C |
TEMA DI ARGOMENTO STORICO |
O.N.U., Patto
Atlantico, Unione Europea: tre grandi organizzazioni internazionali di cui
l’Italia è Stato membro.
Inquadra il profilo storico di queste tre
Organizzazioni e illustra gli indirizzi di politica estera su cui, per
ciascuna di esse, si è fondata la scelta dell’Italia di farne
parte.
TIPOLOGIA D |
TEMA DI ORDINE GENERALE |
Campagne e
paesi d’Italia recano ancora le tracce di antichi mestieri che la
produzione industriale non ha soppiantato del tutto e le botteghe artigiane
continuano ad essere luoghi di saperi e di culture ai quali l’opinione
pubblica guarda con rinnovato interesse. Contemporaneamente, anche il mondo
dell’artigiano è stato investito dalla innovazione tecnologica che ne sta
modificando contorni e profilo.
Rifletti sulle caratteristiche
dell’artigianato oggi e sulla importanza sociale, storica ed economica che
esso ha avuto e che in prospettiva può avere per il nostro Paese.
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Durata massima della prova: 6 ore.
È consentito soltanto l’uso del dizionario italiano.
Non è consentito lasciare l’Istituto prima che siano trascorse 3 ore
dalla dettatura del tema.