Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Sotto famiglia: Andropogonoideae
Tribù: Maydeae
Specie: Zea mays L.
Altri nomi comuni: frumentone, grano d'India, melica, formentazzo
Francese: mais; Inglese: maize, Indian corn; Spagnolo: maiz; Tedesco: mais.
Il mais (o granturco, granone, frumentone, ecc.) fu conosciuto dagli europei un mese dopo la scoperta dell'America all'interno di Cuba dove era chiamato maíz.
La prima, rapida diffusione del mais in Europa si ebbe nel 1600 nelle regioni Balcaniche, allora facenti parte dell'impero Ottomano, grazie alle condizioni climatiche favorevoli che assicuravano produzioni di granella più che doppie rispetto ai cereali tradizionali e, forse, anche al fatto che questo nuovo prodotto agricolo sfuggiva alla tassazione non essendo rubricato.
Qualche tempo dopo il mais iniziò a diffondersi in Italia, probabilmente con varietà provenienti dai vicini Balcani (da cui forse deriva il nome popolare di «granturco»). Le regioni padane, e in particolare quelle nord-orientali, grazie al clima favorevole furono quelle che introdussero il mais nei loro ordinamenti colturali con larghezza tuttora insuperata. Ma anche le regioni peninsulari centrali trovarono nel mais un valido contributo al precario sostentamento alimentare delle popolazioni agricole, tanto che questa coltura entrò a far parte degli ordinamenti policolturali del centro Italia pur se il clima di quest'area non fosse ideale.
Nella seconda metà del XX secolo la maiscoltura italiana si è profondamente modificata, nel senso che le produzioni si sono orientate verso il mercato anziché verso l'autoconsumo alimentare umano e che, in conseguenza, il mais è scomparso dalle aree marginali non irrigate, dove dà rese modeste e incostanti, e si è localizzato quasi esclusivamente nelle zone irrigate dove ha potuto vedere enormemente intensificate le sue produzioni grazie all'introduzione dei mais ibridi, altamente produttivi, ma molto esigenti quanto a tecnica colturale.
Le regioni italiane più intensamente maidicole sono Veneto, Lombardia, Piemonte e Friuli V .G.: da sole queste quattro regioni producono circa il 66% di tutto il mais prodotto in Italia. Il mais è pochissimo coltivato nell'Italia meridionale, e praticamente assente nelle Isole.
Mais o Granoturco - Zea mays L.
Il mais appartiene alla famiglia delle Gramineae, tribù Maydeae.
La Zea mays è l'unica specie del genere Zea ed esiste solo allo stato coltivato.
La costituzione della cariosside è la seguente: embrione (12-14%), endosperma (75-80%), involucri (8-10%).
L'embrione presenta notevoli analogie con quello, già descritto, del frumento. È costituito:
- dalla piumetta, che è protetta dal coleoptile e sulla quale sono già differenziati gli abbozzi delle prime cinque foglie;
- dalla radichetta, protetta dalla coleoriza;
- dallo scudetto (o scutello), ricco di grassi.
L'endosperma è costituito da uno strato aleuronico esterno e da un parenchima amidaceo che è a sua volta formato da una parte cornea, ricca di sostanze azotate, e da una parte farinosa, quasi esclusivamente formata di amido e povera di sostanze proteiche.
Gli involucri comprendono pericarpo e perisperma.
Nella cariosside di mais si distinguono: la corona, cioè la parte che nella spiga è all'esterno ed opposta all'inserzione nel tutolo; due facce, di cui la superiore è volta verso l'apice della spiga e l'inferiore è volta verso la base; lo scudetto, con l'embrione, alla base del granello, sulla faccia superiore.
Il polimorfismo del granello di mais (colore, forma, peso) è assai accentuato. Il colore può essere bruno, violetto, rosso, giallo, bianco; la forma rotondeggiante, schiacciata, appuntita, ecc.; il peso di 1.000 cariossidi varia da meno di 100 grammi a oltre 1200 grammi; nei tipi più comunemente coltivati 1.000 cariossidi pesano 250-350 g.
Sturtevant e Kuleshov hanno classificato le numerosissime forme di mais in base ad alcune caratteristiche morfologiche e fisiologiche della granella in diverse sottospecie.
In condizioni adatte di umidità, di temperatura e di arieggiamento, il seme assorbe acqua e s'inizia la mobilitazione delle sostanze di riserva. Anzitutto fuoriesce dagli involucri della cariosside la radichetta embrionale, cui segue il coleoptile, all'inizio più lento nel crescere di quanto non sia la prima.
In analogia a quanto avviene nel frumento, si sviluppano poi radici embrionali laterali, meno vigorose di quella primaria: tutte formano l'apparato radicale seminale che resta attivo per tutto il ciclo biologico della pianta, a sussidio dell'apparato radicale avventizio che si svilupperà in un secondo tempo.
La temperatura minima per avere germinazione e nascite accettabilmente rapide e regolari è di 12 °C. Quindi la semina può essere fatta appena tale temperatura media si riscontra nel terreno alla profondità (50 mm circa) alla quale va deposto il seme.
Dal coleoptile che, allungandosi, spunta fuori terra si svolge la prima foglia, alla quale corrisponde nel terreno un primo nodo a profondità variabile secondo le circostanze, ma sempre prossimo alla superficie.
La seconda foglia e le successive sorgono alterne, da ognuno dei nodi soprastanti al primo; dagli stessi nodi basali spuntano le radici avventizie, che talora restano aeree.
L'apparato radicale giunge facilmente ad un metro ed oltre di profondità, ma il suo sviluppo avviene prevalentemente nei primi 0,4 m.
Dopo l'emissione della terza o quarta foglia, a un mese o un mese e mezzo dalla semina, incomincia, con la levata, lo sviluppo completo della pianta che, se le condizioni colturali sono favorevoli, è molto rapido.
Il mais delle varietà più coltivate non accestisce; l'unica ramificazione normale del fusto è rappresentata dal peduncolo più o meno allungato che porta l'infiorescenza femminile (in genere una per pianta, eccezionalmente due o più).
I nodi che compongono lo stelo sono pieni, a sezione circolare od ellittica, più grossi degli internodi, anch'essi pieni di «midollo», parenchima attraversato da numerosi fasci fibrovascolari, che funziona come riserva d'acqua e sostanze nutritive.
Il numero degli internodi (da 12 a 24 nelle cultivar coltivate in Europa) è legato ai caratteri varietali e all'ambiente climatico, soprattutto alla lunghezza del giorno.
Le foglie, inserite ai nodi del culmo, hanno disposizione alterna, sono parallelinervie, relativamente larghe (fino a 80 mm) ed allungate fino a 0,700,80 m), acuminate, glabre nella pagina inferiore e spesso anche nella superiore, un po' ondulate, con guaina amplessicaule, tomentosa, ligula ed espansioni falciformi alla base del lembo.
Il lembo, nella pagina superiore, presenta dei gruppi di cellule igroscopiche che perdono il loro turgore e si raggrinziscono se la traspirazione è eccessiva, determinando il caratteristico arrotolamento della lamina in periodi di accentuata siccità.
Nel tempo di 50-70 giorni le piante raggiungono il loro massimo sviluppo ed iniziano la fioritura.
Il mais è pianta monoica diclina: cioè i fiori maschili e femminili sono sulla stessa pianta portati da infiorescenze separate.
L'infiorescenza maschile (detta volgarmente pennacchio) è un panicolo terminale, costituito da numerose ramificazioni sulle quali si trovano le spighette; ogni spighetta consta di due fiori con tre stami ciascuno.
L'infiorescenza femminile (comunemente, ma impropriamente, detta pannocchia) è una spiga ascellare, posta circa a metà altezza della pianta, in genere al 6-7° nodo sotto il pennacchio.
Le forme usualmente coltivate sono monospiga in ordinarie condizioni di fittezza, anche se esistono genotipi che in condizioni di moderata competizione manifestano una certa prolificità, portando avanti qualche altra spiga sotto quella principale che comunque mantiene la sua dominanza.
La spiga è portata da un peduncolo fatto di internodi brevi e nodi assai ravvicinati; ciascun nodo del peduncolo porta una foglia metamorfosata in brattea o spata; il complesso delle brattee, che avvolgono completamente la spiga, forma il cosiddetto cartoccio, avente funzione protettiva. La spiga è costituita da un asse ingrossato detto tutolo sul quale sono inserite le spighette.
Il tutolo può essere di colore bianco o rosso, più o meno ingrossato, di forma cilindrica o conica più o meno tozza.
Sul tutolo le spighette sono in genere disposte in file («ranghi») rettilinee regolari, talora spiralate e poco regolari.
Il numero di ranghi presenti sulla spiga varia moltissimo nelle innumerevoli forme locali di mais esistenti (da 8 a 24), ma le forme più diffuse nella maiscoltura intensiva ne presentano da 14 a 20.
La lunghezza della spiga può variare da meno di 0,1 a oltre 0,2 m e il numero di fiori e di potenziali cariossidi per rango andare da poche decine a 50. Da ciò deriva una elevatissima fecondità potenziale del mais: molte centinaia (fino a 1.000) potenziali cariossidi per spiga. Questo straordinario rapporto di moltiplicazione che caratterizza il mais impressionò molto i primi scopritori e influì sul successo della diffusione della specie in tante parti del mondo.
Il mais è specie «proterandra» ossia la fioritura inizia con la deiscenza del polline dei fiori maschili del pennacchio, seguita poi dopo 2-3 giorni dall'emissione degli stigmi nelle infiorescenze femminili. L'emissione dei pennacchi non è contemporanea in un campo, ma si protrae per più giorni; anche la deiscenza del polline in una infiorescenza dura qualche giorno.
Nelle spighe, gli stili (detti sete o barbe) spuntano dalle brattee non contemporaneamente, ma scalarmente nel corso di una settimana, dapprima quelli dei fiori di base ed ultimi quelli dell'apice, formando un folto ciuffo. Gli stigmi, appena compaiono, sono suscettibili di essere fecondati e restano recettivi per il polline per parecchio tempo. Però, dato che l'antesi delle antere precede la comparsa degli stigmi, può darsi che gli ovuli della punta della spiga, gli ultimi a maturare, non arrivino ad essere fecondati per mancanza di polline.
Nel mais la fecondazione incrociata è la regola: in condizioni normali si calcola che solo l'1% dei fiori si fecondino in autogamia.
Le antere deiscono per lo più al mattino ed il polline, abbondantissimo, preso dai movimenti anche lievi dell'aria, va a finire su spighe di altri individui. La stessa disposizione delle foglie nella pianta non favorisce l'autofecondazione.
Il polline pervenuto sugli stili germina ed emette un lungo tubo pollinico. In circa 24 ore si ha la fecondazione dell'ovulo. Anche se la allogamia è la norma, nel mais non esiste alcun meccanismo di autoincompatibilità che ostacoli l'autofecondazione, che può essere controllata a scopo di miglioramento genetico.
Nei 10-12 giorni successivi alla fecondazione si ha la rapida formazione dell'embrione; successivamente inizia la fase di granigione, caratterizzata da accumulo di amido nell'endosperma delle cariossidi in via di formazione. Le cariossidi dapprima lattiginose (maturazione lattea), dopo 40-50 giorni dalla fecondazione divengono consistenti, amidacee, pastose sotto le dita, e nei tipi dentati con la fossetta all'apice che comincia a formarsi, hanno un contenuto d'acqua del 40-45%, mentre le brattee più esterne e le foglie più basse cominciano ad ingiallire: è questa la fase di maturazione cerosa, che segna il momento ottimale per la raccolta del mais destinato all'insilamento. Procedendo ulteriormente la maturazione, la pianta completa l'ingiallimento, mentre la granella diventa sempre più consistente e secca: quando contiene circa i130-35% d'acqua si trova alla maturazione fisiologica, stadio al quale ha raggiunto il massimo peso secco. Data la stagione in cui il mais matura, è impensabile in Italia (salvo rare eccezioni di varietà precocissime e di stagione prolungatamente calda e asciutta) di raccogliere il mais con un contenuto di acqua che ne consenta l'immagazzinamento (13% al massimo). Bisogna perciò prevedere sempre l'essiccazione della granella.
La velocità con cui il mais compie le fasi del suo sviluppo varia molto con la costituzione genetica e con le condizioni climatiche.
La fase compresa tra la semina e l'emergenza ha una durata variabile secondo la temperatura: con 12 °C (minimo): 18-20 giorni; con 17 °C: 8-10 giorni; con 21 °C: 5-6 giorni.
La fase che va dall'emergenza all'antesi varia moltissimo con la varietà in interazione con la temperatura e soprattutto col fotoperiodo. In Italia i tipi più precoci fioriscono dopo 45-50 giorni dall'emergenza, mentre i più tardivi fioriscono dopo 70-75 giorni, cioè a fine luglio, primi di agosto. Varietà tropicali, brevidiurne, nei lunghi giorni estivi delle regioni temperate salirebbero a fiore solo al sopraggiungere dell’autunno.
La fase compresa tra l'antesi e la maturazione fisiologica dipende strettamente dalle caratteristiche genetiche della cultivar e dalla temperatura e umidità dell'ambiente. Gli ibridi più precoci maturano dopo 45-55 giorni dalla fioritura, mentre tipi molto tardivi dopo 70 giorni possono non aver ancora raggiunto la maturazione fisiologica.
Pertanto il ciclo complessivo «emergenza-maturazione fisiologica» dei mais coltivati in Italia varia da un minimo di 90 giorni a un massimo non superabile di 145 giorni.
Mais o Granoturco - Zea mays L. (foto CREA)
Il mais è pianta di origine tropicale ed è quindi tipicamente macroterma e, almeno originariamente, brevidiurna.
Grazie alla forte variabilità esistente all'interno della specie e alla struttura genetica eterozigote delle popolazioni naturali, il mais ha allargato moltissimo la sua area di distribuzione, per autoadattamento e per selezione antropica, fino al 50° di latitudine Nord.
Per quanto riguarda la reazione fotoperiodica, da tipi strettamente brevidiurni si è passati a tipi adattatisi alle latitudini medio-alte e quindi divenuti fotoindifferenti.
In ambiente avverso per brevità del periodo favorevole si sono formati ecotipi caratterizzati da estrema precocità di fioritura e di maturazione.
Il mais esige temperature elevate per tutto il suo ciclo vitale, durante il quale manifesta esigenze via via crescenti.
Il mais non germina e non si sviluppa (zero di vegetazione) se le temperature sono inferiori a 10 °C; in pratica per avere nascite non troppo lente e aleatorie si consiglia di iniziare a seminare quando la temperatura del terreno ha raggiunto stabilmente i 12 °C.
Abbassamenti di temperatura anche solo vicini a 0°C (4-5 °C) uccidono le piante o le lasciano irrimediabilmente stressate.
La temperatura ottimale per l'accrescimento è di 22-24 °C; per la fioritura di 26 °C.
Il mais in fase di granigione cessa di crescere sotto i 17 °C: è questa la soglia termica che segna il termine della stagione vegetativa del mais (II e III decade di settembre, in Italia).
Anche eccessi termici, tuttavia, possono rivelarsi dannosi per la produttività del mais.
Forti calori sono particolarmente dannosi durante la fioritura: temperature superiori a 32-33 °C accompagnate da bassa umidità relativa dell'aria e, conseguentemente, anche da stress idrici per sbilancio evapotraspiratorio, possono provocare cattiva allegagione e gravi fallanze di cariossidi sulla spiga.
Le conseguenze sono frequentemente visibili come incompleta granigione delle spighe, specialmente nella parte apicale, che è l'ultima a fiorire.
Le regioni più adatte al mais (le cosiddette «corn belts» o fasce da mais) sono quelle dove in estate le piogge sono frequenti e regolari.
In Italia solo le regioni nord-orientali hanno una pluviometria abbastanza favorevole che spesso rende l'irrigazione non necessaria; ma nel resto del paese il regime pluviometrico è di tipo mediterraneo (piogge estive scarse e irregolari o assenti) per cui il mais qui fornisce produzioni che, senza l'ausilio dell'irrigazione, sono basse e aleatorie. Peraltro con l'irrigazione sotto ogni clima si può supplire alla deficienza delle piogge, purché l'acqua necessaria sia disponibile a costi contenuti e non abbia utilizzazione su colture più redditizie.
Il mais è un ottimo esempio di adattabilità alle più varie condizioni di suolo.
Con clima favorevole e una buona tecnica colturale tutti i terreni possono diventare sede di un'eccellente maiscoltura: da quelli sabbiosi agli argillosi, da quelli sub-acidi ai sub-alcalini (purché non si verifichino deficienze di microelementi), dalle terre grigie, alle brune, alle rosse, alle torbose.
Condizioni indispensabili perché il mais possa dare i migliori risultati sono: ampie disponibilità di elementi nutritivi assimilabili e buona aerazione della rizosfera. La maggiore insofferenza del mais è nei riguardi dei terreni asfittici e molto crepacciabili perché troppo compatti e mal strutturati.
Il miglioramento genetico vegetale ha realizzato nel mais successi spettacolari, superiori che in qualsiasi altra pianta coltivata. Ciò grazie alla concomitanza di una serie di favorevoli condizioni: grande variabilità genetica della specie, relativa facilità di studio sperimentale e, di conseguenza, enorme massa di ricerche di genetica pura e applicata.
Produttività.
La produttività di granella è stato ed è l'obiettivo principale di ogni programma di miglioramento genetico. Tale carattere, però, dipende da tanti altri caratteri morfologici, fisiologici e di adattamento.
Per la produzione di granella è importante sia la potenzialità di assimilazione («source») sia quella di immagazzinamento («sink»).
In passato si è potenziata con successo questa seconda funzione, selezionando soprattutto per caratteri morfologici come la lunghezza e il numero delle file della spiga e la lunghezza («profondità») delle cariossidi. Ulteriori progressi potrebbero forse essere ottenuti anche con piante potenzialmente «polispiga», anziché monospiga come le attuali.
Oggi c'è l'orientamento a rimuovere verso l'alto il limite della produttività cercando di selezionare altri caratteri legati all'attività di assimilazione.
Il portamento eretto delle lamine fogliari, ad esempio, riduce la competizione per la luce perché le foglie superiori ombreggiano quelle inferiori meno rispetto alle foglie con portamento reclinato. In questo modo si può aumentare utilmente l'estensione dell'apparato fogliare mediante l'aumento della fittezza di allevamento.
Altre caratteristiche di adattamento importantissime ai fini della produttività sono le seguenti.
Giusta precocità. Come si è visto in precedenza, determinante della produttività di un mais è la lunghezza del suo ciclo, e in particolare dei sottoperiodi nei quali il ciclo può essere diviso. Sembra conveniente che il mais sia piuttosto precoce nella fioritura, abbia lunga la fase di «riempimento» della granella, ma rapida l'essiccazione di questa dopo la maturazione fisiologica. I nuovi ibridi a rapida maturazione («fast dry down») soddisfano quest'ultima condizione.
Resistenza al freddo. Ibridi capaci di germinare o di resistere senza danno a temperature relativamente basse sarebbero utilissimi nelle zone marginali, in quanto consentirebbero di anticipare di qualche giorno la semina e quindi di allungare la stagione di crescita.
Resistenza alle malattie fogliari. La più temibile tra queste è in Italia l'elmintosporiosi (Helminthosporium turcicum), per la quale peraltro già si conoscono geni di resistenza.
Resistenza ai marciumi. È importante che il mais possegga spiccati caratteri di resistenza gli agenti dei marciumi e, in genere, alla caduta delle spighe perché se ne possa ritardare la raccolta senza temere perdite di prodotto. Il miglioramento genetico per la resistenza a questi agenti è un mezzo efficace e già praticato.
Miglioramento della qualità.
Il miglioramento genetico punta a migliorare la qualità delle proteine endospermiche (zeina), modificandone la composizione aminoacidica. Questa proteina contiene poca lisina, e ciò ne rende infimo il valore biologico per gli animali monogastrici. Orbene, sono stati scoperti geni capaci di modificare in senso favorevole la sintesi proteica nell'endosperma, inducendo una molto maggior quota di lisina. Il mutante più considerato è stato l'opaque-2 (02). Purtroppo ci sono ostacoli alla diffusione dei mais opaque: bassa produttività, granella farinosissima comportante cattivi caratteri organolettici, elevata umidità alla raccolta, suscettibilità della spiga alle malattie e delle cariossidi a essere lesionate durante la raccolta.
Dell'uso dei mutanti che modificano l'accumulo di carboidrati nella granella si è già detto parlando delle sottospecie del mais (m. amilosico. m. cereo, m. zuccherino).
La ricchezza della granella di mais in xantofilla è molto apprezzata per l'alimentazione del pollame le cui uova devono avere un colore giallo: i più ricchi in xantofilla sono i mais a granella vitrea e di colore giallo intenso.
Il colore bianco della granella è, invece, apprezzato per motivi di tradizione alimentare in certi paesi o regioni, e per certi usi industriali.
Mais transgenici.
Il mais è stato recentemente oggetto di un intenso lavoro di miglioramento con le tecniche dell'ingegneria genetica che si è tradotto nella realizzazione di ibridi di «mais transgenico». Attualmente due sono i caratteri ingegnerizzati: la resistenza alla piralide e la resistenza al Glifosate.
Nel primo caso la resistenza del mais al fitofago è stata realizzata introducendo nel genoma del mais un gene (Bt) del Bacillus thuringensis, parassita delle larve di piralide; con questo inserimento il mais transgenico produce esso stesso nei suoi tessuti la tossina batterica che ucciderà le larve che lo attaccassero.
Nel secondo caso l'ingegneria genetica ha inserito nel patrimonio genetico del mais un gene che detossifica un diserbante totale, il Glifosate. Si è così ottenuto un mais transgenico sul quale questo diserbante è assolutamente innocuo, mentre è letale per qualsiasi altra pianta infestante. È evidente la semplificazione che questa innovazione porterebbe al controllo della flora infestante, finora basata su diserbanti selettivi.
L'Europa guarda con sospetto e preoccupazione questi tipi di OGM: possibile tossicità per l'uomo del mais Bt; possibile trasferimento della resistenza a specie infestanti che così diventerebbero incontrollabili (peraltro nel caso del mais quest'ultimo problema è trascurabile in quanto non ci sono specie interfertili con il mais).
Gli ibridi di mais.
Il mais è, come si è detto, pianta a fecondazione quasi esclusivamente incrociata. Pertanto le popolazioni naturali di mais hanno una struttura genetica completamente eterozigote e quindi loro caratteristica è di essere eterogenee, con individui tutti diversi l'uno dall'altro.
I primi tentativi di selezione sono stati quelli basati sulla selezione massale, da sempre praticata scegliendo le spighe migliori per la semina. L'insuccesso di questi tentativi deriva dalla citata natura eterozigote del mais per cui le progenie di buone piante non sono necessariamente buone, dato che il genitore maschile è sconosciuto.
Uno spettacolare salto di qualità nel miglioramento genetico del mais fu realizzato con l'introduzione del concetto di ibrido di la generazione.
L'era dei mais ibridi è cominciata nel 1909 con la contemporanea e indipendente pubblicazione dei lavori di Shull e East, genetisti americani che dettarono i principi generali della costituzione degli ibridi di mais che qui di seguito sono esposti.
1.Le piante di una popolazione naturale di mais sono ibridi complessi di genealogia ignota: nulla è possibile dedurre sul loro genotipo in base al fenotipo.
2. Queste piante sottoposte forzatamente ad autofecondazione ripetuta tendono allo stato omozigote, per cui durante questo processo, detto di «inbreeding», caratteri recessivi prima nascosti compaiono e possono essere eliminati con la selezione.
3. Durante il processo di «inbreeding» le discendenze perdono progressivamente vigore e produttività, ma tendono ad uniformizzarsi costituendo «linee inbred» (impropriamente dette anche «linee pure»), praticamente omozigoti.
4. L'incrocio di due «inbreds» opportunamente scelte dà luogo a spettacolari manifestazioni del fenomeno dell'eterosi: la generazione ibrida (FI) è costituita da individui eterozigoti, vigorosissimi e tutti uguali.
Un mais ibrido quindi è la prima generazione di un incrocio tra linee «inbred». È evidente che ad ogni generazione la combinazione genetica dell'ibrido va ricostituita e che il seme va rinnovato ogni anno.
Gli ibridi semplici o a due vie la cui produzione abbiamo ora descritta risultano costosi per i seguenti motivi:
a. rapporto (1:1) tra piante impollinanti e piante portaseme che porta a raccogliere seme ibrido solo sulla metà della superficie coltivata;
b. bassissima produttività delle piante portaseme, che essendo «inbreds» sono
estremamente deboli.
Questo alto costo di produzione degli ibridi semplici ne ha limitato l'impiego, anche se oggi si è riusciti ad abbassarne sensibilmente il prezzo ricorrendo a speciali tecniche (incrocio di linee sorelle o «sister lines»).
Per abbassare il costo della semente, senza per ciò rinunciare ai vantaggi degli ibridi, si è ricorsi agli ibridi doppi o a quattro vie, i quali risultano dalla ibridazione di due diversi incroci semplici.
Si deve cioè disporre di 4 linee «inbred» (es. A, B, C e D) che abbiano tra loro una buona attitudine alla combinazione. Esse vengono combinate a 2 a 2, a costituire due ibridi semplici (AxB) e (CxD), seguendo le modalità indicate in precedenza.
La produzione dell'ibrido doppio si fa in un campo isolato seminando alternativamente l'ibrido impollinante e quello portaseme in un rapporto che in questo caso è di 1:3, dato che le piante impollinanti sono ibride e hanno un'abbondante produttività di polline.
Il costo di produzione degli ibridi doppi è molto inferiore a quello degli ibridi semplici perché il seme ibrido viene raccolto sui 3/4 della superficie coltivata e per di più su piante portaseme che, essendo ibride, danno un'alta produzione di granella.
Gli ibridi doppi sono un po' meno uniformi e vigorosi di quelli semplici, ma avendo una più larga base genetica dimostrano una maggiore capacità di adattarsi alle mutevoli condizioni di ambiente.
Una via di mezzo tra gli ibridi semplici e quelli doppi è rappresentata dagli ibridi a 3 vie: [(AxB)xC].
Le caratteristiche di elasticità adattativa e il costo degli ibridi a 3 vie sono intermedi tra quelli degli ibridi a 2 e a 4 vie.
Per la potenzialità produttiva si considera pari a 100 quella degli ibridi a due vie, 90 quella degli ibridi a tre vie, 80 quella degli ibridi a 4 vie.
In ambienti molto sfavorevoli dal punto di vista ambientale, dove non esista un'efficiente industria sementiera c/o dove le condizioni socio-economiche non consentono l'acquisto di seme tutti gli anni (come è necessario fare con gli ibridi), una soluzione realistica del problema del miglioramento genetico del mais è la costituzione di varietà sintetiche: si tratta di poliibridi risultanti dall'incrocio di numerose (8-16) linee inbred. Queste sintetiche hanno una base genetica molto larga e quindi una notevole capacità di adattamento ai variabili andamenti stagionali, inoltre possono essere riseminate per più anni di seguito conservando molti dei loro caratteri positivi.
Viceversa, in condizioni ambientali e agrotecniche molto vicine all'optimum non v'è dubbio che si ottengano i risultati migliori dagli ibridi semplici.
Raccolta e lavorazione.
La raccolta del seme ibrido nei campi di produzione va fatta con la massima cura, limitatamente alle piante portaseme e spiga per spiga, quindi o a mano o con macchine raccogli-sfogliatrici («corn-picker» ).
Le spighe raccolte (con non oltre il 35% di umidità) vengono finite di scartocciare a mano e inviate allo stabilimento sementiero per la lavorazione.
Lavorazione del seme ibrido di mais.
Cernita delle spighe. A mano, su nastro trasportatore per eliminare spighe fuori tipo, pregerminate, danneggiate da parassiti.
Essiccazione delle spighe. In celle ventilate riscaldate a non oltre 40-45 °C per non compromettere la germinabilità.
Sgranatura e prepulitura Le spighe vengono sgranate e la granello fatta passare attraverso vagli e ventilatori per eliminare le impurità.
Calibratura. Passaggio della granello a macchine calibratrici che assortiscono le cariossidi variamente: in base alla forma (ad esempio: «tondo» e«piatto») e alla dimensione (esempio: «lungo», «grosso», «medio») in un'ampia gamma di calibri (fino a 21). La calibrazione ha lo scopo di uniformare i semi per poter adoperare con efficacia e regolarità la seminatrice di precisione.
Concia. Un fungicida in forma di poltiglia («slurry») viene applicato sui semi in modo che ne siano completamente coperti.
Confezionamento. Insaccamento in sacchi di carta o a peso (confezioni da 5, 10 o 25 kg) o, più comunemente oggi, a numero (confezioni da 25.000, 50.000 o 75.000 semi).
Classificazione degli ibridi commerciali.
Parecchi anni fa una classifica degli ibridi di mais in base alla precocità fu adottata dalla FAO. In base a questa classifica gli ibridi vengono suddivisi in 9 classi di precocità, contrassegnate con i numeri da 100 a 900 per ordine di precocità decrescente. L'attribuzione alle varie classi va fatta con riferimento ad ibridi standard, uno per classe, scelti opportunamente per la diversa lunghezza del loro ciclo vegetativo.
È da tener presente che la durata del ciclo in giorni ha un valore puramente convenzionale e comparativo.
Prima della comparsa dei mais ibridi, le varietà-popolazioni di mais italiane venivano classificate nelle seguenti cinque categorie di precocità crescenti: maggenghi, agostani, agostanelli, cinquantini e quarantini.
Classificazione delle sottospecie di Zea mays (sec. Sturtevant e Kuleshov).
- Zea mays sub-sp. everta: mais da far scoppiare (pop-corn).
Raggruppa tipi primitivi, con piante prolifiche e accestite, portanti spighe piccole e numerose. Le cariossidi sono molto piccole (1.000 pesano 100 grammi e meno), hanno endosperma completamente vitreo, traslucido, molto proteico e se riscaldate «scoppiano» aumentando assai di volume e formando una massa bianca e porosa (pop-corn).
- Zea mays sub-sp. indurata: mais vitreo o plata («flint corn»).
Cariossidi tondeggianti, con endosperma farinoso all'interno e corneo tutt'intorno. Moltissimi mais europei di antica introduzione appartengono a questo tipo. Questo mais è preferito nell'alimentazione umana e in avicoltura («Plata»).
- Zea mays sub-sp. indentata: mais a dente di cavallo («dent corn»).
Granello ad endosperma corneo soltanto ai lati e per il resto farinoso fino alla corona per cui con l'avanzare della maturazione la parte farinosa diminuisce di volume e la corona viene a presentare un'infossatura simile a quella di un dente di cavallo. Questa forma di mais è ormai la più diffusa perché la più produttiva per la grande capacità di «magazzino» delle spighe.
- Zea mays sub-sp. amylacea: mais amilosico («soft corn»).
Deriva da mutazioni che inducono modificazioni nella costituzione dell'amido (prevalenza di amilosio rispetto all'amilopectina).
- Zea mays sub-sp. saccharata: mais zuccherino («sweet corn»).
L'endosperma contiene poco amido e molti carboidrati solubili. Le spighe raccolte alla maturazione latteo-cerosa, costituiscono un ortaggio apprezzato da consumare fresco o inscatolato. A maturità la granello divento grinzosa.
- Zea mays sub-sp. ceratina: mais cereo («waxy corn»).
Comprende forme caratterizzate dalla mutazione «waxy» (wx), che induce formazione di amido composto esclusivamente di amilopectina e per questo fatto apprezzato dall'industria dell'amido.
Il ciclo del mais inizia con cariossidi che pesano circa 0,3 grammi e si conclude con piante che, in buone condizioni di crescita, raggiungono un peso secco di alcune centinaia (400-500) di grammi, circa metà dei quali sotto forma di una spiga ricca di molte centinaia di cariossidi.
Una buona produzione di mais può essere considerata di 20-25 t ha-' di sostanza secca nelle parti epigee, di cui poco meno di metà, cioè 10-12 t ha-', come granella.
Il mais è una «macchina vegetale» di singolare efficienza, dotata di un altissimo potenziale di produttività specialmente dove e/o quando le condizioni in cui avviene la crescita sono caratterizzate da forte radiazione e alta temperatura: cioè a latitudini tropicali e subtropicali oppure a media latitudine durante la stagione calda.
Il periodo di massima intensità assimilatoria nel mais inizia con l'emissione del pennacchio, quando anche l'ultima foglia si è completamente dispiegata, e abbraccia tutto il periodo della fioritura e dell'inizio della granigione. L'assimilazione netta giornaliera che si rileva in buone condizioni di pieno campo in questo periodo è dell'ordine di 250-350 kg ha-' al giorno, con punte massime di oltre 400 kg ha-' di sostanza secca.
Le condizioni perché la capacità assimilatoria della copertura vegetale sia la più grande possibile, sono diverse e possono essere indicate nelle seguenti.
- Apparato radicale funzionale e ben sviluppato. Le lavorazioni profonde e tempestive, le sistemazioni idraulico-agrarie e gli ammendamenti, specialmente quelli organici, migliorano lo stato fisico del suolo (struttura migliore e più stabile, minor crepacciabilità, maggior capacità di ritenzione idrica, ecc.) favoriscono l'espansione e l'attività delle radici del mais che pertanto esplicano nel migliore dei modi le loro funzioni di sostegno meccanico e di assorbimento d'acqua e di elementi nutritivi.
- Apparato assimilatore ampio. L'apparato fogliare deve essere di appropriata ampiezza: l'esperienza ha dimostrato che con i tipi più comuni di mais la migliore copertura del terreno è quella costituita da un LAI di almeno 4-5. Questa copertura va assicurata con un appropriato numero di piante a metro quadrato, curando che esse siano ben distribuite nello spazio, cioè senza fallanze e senza affollamenti sulla fila e con file ravvicinate al massimo consentito dalle macchine per la raccolta.
Un'interessante possibilità di aumentare utilmente la superficie assimilante è offerta da tipi di mais con foglie a portamento eretto formanti con lo stelo un angolo stretto e che quindi danno luogo a una minore competizione tra piante e tra foglie nei riguardi della luce.
- Apparato assimilatore efficiente e longevo. All'apparato produttivo va assicurato il massimo di efficienza e di durata funzionale: ciò con le concimazioni, l'irrigazione e l'eliminazione delle interferenze negative di parassiti o di erbe infestanti.
Predisposizione di capaci -magazzini-. Un apparato assimilatore, pur se ben sviluppato e funzionale, sarebbe messo in condizione di assimilare molto al di sotto delle sue possibilità se mancassero adeguati «magazzini» nei quali i prodotti giornalieri della fotosintesi possano traslocarsi: i magazzini sono le cariossidi in formazione.
- La lunghezza del ciclo vegetativo come fattore di adattamento. La produzione di granella si fa con quello che la sintesi clorofilliana produce dopo la fioritura; ridotta infatti è la quantità di sostanze di riserva sintetizzate prima della fioritura e successivamente migrate nei semi.
Ciò premesso è evidente che la produzione di granella di mais è direttamente dipendente dall'intensità e dalla durata del funzionamento dell'apparato assimilatore dopo la fioritura.
Questo inquadramento del fenomeno produttivo rende chiaro che la scelta della precocità dell'ibrido è di fondamentale importanza: esso dovrebbe avere un ciclo inserendosi nel migliore dei modi nel periodo favorevole, non essendo né troppo precoce né troppo tardivo.
Mais molto precoci utilizzano incompletamente il tempo disponibile, maturando troppo presto; essi vanno bene per la coltura asciutta o intercalare, ma in coltura primaverile irrigata mostrano una decisa limitazione produttiva. D'altra parte mais troppo tardivi impiegano troppo tempo per giungere alla fioritura, per cui la fase di granigione risulta di breve durata e per di più ritardata, così da svolgersi quando già le condizioni ambientali sono diventate sub-ottimali per l'assimilazione.
Altri vantaggi che derivano dall'adozione di mais non eccessivamente tardivi sono il più lungo tempo disponibile per la preparazione del terreno per la coltura successiva e il minor contenuto d'umidità della granella al momento della raccolta.
In passato il mais entrava in rotazioni complesse dove svolgeva il ruolo di coltura miglioratrice da rinnovo per la lavorazione profonda e la letamazione che gli venivano riservate.
Attualmente la tendenza è a coltivare mais solo dove le condizioni gli sono favorevoli: clima a estate piovosa o aziende irrigue, e spesso a coltivarlo in monosuccessione. In genere non si notano fenomeni di «stanchezza», tuttavia infestazioni di malerbe resistenti ai diserbanti (ad esempio il sorgo d'Aleppo) possono intensificarsi fino al punto di costringere ad interrompere la monosuccessione.
La soia, recentemente diffusasi in coltura in Italia, si è rivelata un'ottima pianta da alternare al mais in quanto gli è molto affine per esigenze ambientali e agrotecniche. Una rotazione assai diffusa in molte plaghe maidicole è quella che prevede tre anni di mais e uno di soia.
Negli ambienti irrigui ed a clima molto favorevole per il mais (ad es. Val Padana), di notevole interesse economico è il mais in seconda coltura dopo il primo taglio di un prato, dopo erbaio, dopo colture a raccolta precoce come pisello da industria o orzo da insilamento. Queste successioni sono rese facili dalla disponibilità di mezzi rapidi per la raccolta e per la preparazione del terreno, ma è evidente che si rende necessario l'impiego di varietà di mais adeguatamente precoci.
Nella piccola coltura di tipo familiare, diffusa in passato in Italia e tuttora nei Paesi in via di sviluppo, è molto frequente la consociazione, facilitata dal sistema di semina del mais a righe distanziate e dalla rusticità del mais stesso. Le piante che più spesso si trovano consociate al mais sono leguminose da granella (fagiolo, arachide, fagiolo dall'occhio, soia) o piante ortensi (zucche).
Nella tradizione maidicola la preparazione del terreno per la semina del mais si basava su un lavoro profondo (0,40-0,45 m), da rinnovo, utile soprattutto nel caso di terreni argillosi e di coltura non irrigata per assicurare la costituzione di riserve idriche nel terreno e per consentire un profondo sviluppo dell'apparato radicale.
La lavorazione profonda viene generalmente fatta con aratro rovesciatore, ma potrebbe meglio essere fatta con il sistema «a due strati»: scarificatura profonda e aratura leggera o ara-ripuntatura.
All'aratura estiva o autunnale seguono lavori complementari di affinamento delle zolle e di controllo delle erbacce nate (erpicature energiche, estirpature). È consigliabile procedere per tempo a questo affinamento e sospendere qualche tempo prima della semina: si dovrà insomma evitare di intervenire con operazioni troppo energiche al momento della semina (ad es. con estirpatori od erpici pesanti), perché si distruggerebbe in pochi minuti quella perfetta e irriproducibile struttura che mesi di azioni naturali avevano creato e che è la prima e più sicura garanzia di nascite pronte e regolari.
Il mais non abbisogna di un letto di semina particolarmente affinato: poiché il seme è grosso e quindi va posto alquanto profondo, non vi sono quei problemi di finezza delle zollette e di freschezza del suolo vicino alla superficie che rendono tanto difficile la buona riuscita delle semine e delle nascite delle specie a seme piccolo. Ciò non toglie che su terreno ben preparato le nascite siano più pronte e regolari.
Nel caso di mais in seconda coltura, risparmio di lavoro, guadagno in tempestività e ottima produzione si ottengono con la «semina diretta», senza nessuna lavorazione, adoperando una seminatrice specialmente attrezzata con piccoli coltri per tagliare il terreno.
La geodisinfestazione contro gli insetti terricoli va prevista alla semina con formulati microgranulari distribuiti sulla fila dalla stessa seminatrice.
Il mais essendo coltura che svolge il suo ciclo nel periodo primaverile-estivo si avvantaggia grandemente della concimazione organica, in quanto la mineralizzazione della sostanza organica procede di pari passo con le esigenze nutritive del mais (diversamente in ciò dal frumento). La letamazione è stata perciò la concimazione più classica del mais in passato.
Al giorno d'oggi sono la norma le aziende che coltivano con successo il mais senza disporre di letame o di altri concimi organici, solo facendo ricorso a razionali concimazioni minerali e a eventuali concimi organici non tradizionali come i liquami, i composti di RSU, ecc.
Base per la definizione della concimazione del mais, come di ogni altra coltura, è la conoscenza dei prelevamenti di nutrienti che una coltura fa in ordinarie, ma buone, condizioni di crescita.
Per produrre 100 kg di granella secca si stima che la coltura prelevi, tra la granella e le parti vegetative, le seguenti quantità di macroelementi:
azoto: 2,5 kg di cui 1/3 nei residui;
P205: 1,2 kg di cui 1/3 nei residui;
K20: 2,0 kg di cui 3/4 nei residui.
Per una produzione, buona ma realistica in coltura irrigata, di 12 tonnellate per ettaro di granella secca il mais deve quindi prelevare 300 kg/ha di azoto, 144 kg di anidride fosforica, 240 kg di potassio. Queste quantità non sono mai disponibili nel terreno, per cui le insufficienze devono essere colmate con la concimazione, se si vuole sfruttare appieno l'altissimo potenziale di produzione che il mais ha.
In terreni di buona fertilità, non letamati, le concimazioni che vanno previste sono dei seguenti ordini di grandezza:
- azoto: 250-300 kg /ha;
- P2O5: 80-120 kg /ha;
- K2O: 50-100 kg /ha.
Dopo prato di leguminose l'azoto può essere ridotto a 150-200 unità.
Nel caso di coltura non irrigata è inutile o addirittura dannoso forzare la concimazione minerale, per cui una formula di concimazione potrebbe essere la seguente: N: 60-80; P2O5: 40-60 kg/ ha.
Si può presumere che nei terreni necessariamente argillosi dove si può pensare di fare mais in coltura asciutta la concimazione potassica non sia necessaria.
La letamazione e la concimazione minerale con concimi fosfo-potassici vanno fatte in modo da interrarli bene, prima dell'aratura, o quanto meno prima dell'erpicatura.
La concimazione azotata, che in passato veniva fatta in parte alla semina e in gran parte in copertura, oggi più praticamente può essere fatta tutta al momento della semina con concimi azotati non direttamente dilavabili (urea principalmente).
La concimazione azotata in copertura sarebbe razionale farla con concimi a pronto effetto (nitrato ammonico o anche urea) al momento della levata: tuttavia è di esecuzione difficile in quanto va eseguita con accorgimenti particolari («sotto chioma») per evitare che i granuli di concime, cadendo entro l'imbuto formato dalle foglie del mais, vi determinino ustioni. Inoltre è di esecuzione precaria poiché la rapidissima crescita in altezza del mais durante la levata potrebbe rendere impossibile l'entrata delle macchine spandiconcime nei campi. Per non correre il rischio di lasciare la coltura senza azoto si preferisce anticipare tutta la concimazione alla semina.
In generale le semine primaverili è bene siano fatte prima possibile.
Nel caso del mais per avere nascite non troppo protratte e irregolari bisogna aspettare che la temperatura del terreno si sia stabilmente attestata su almeno 12 °C. Questo livello termico è raggiunto mediamente in aprile: questa è, pertanto, l'epoca usuale di semina nel caso di mais in prima coltura. In questo caso il mais impiega circa 15 giorni a nascere.
In altri casi il mais segue una coltura a raccolta precoce, assumendo il ruolo di coltura intercalare: dopo il taglio di un erbaio (semina a fine maggio); dopo orzo da insilamento, o pisello (la decade di giugno), oppure dopo frumento (ai primi di luglio). In questi casi la temperatura è alta e le nascite avvengono dopo 8-10 giorni o anche meno.
Condizione importantissima ai fini di una buona produzione è che la fittezza sia giusta e regolare. Si tenga presente che il mais non corregge un basso investimento di piante a m2, come altre piante, con l'accestimento, la ramificazione, ecc. e che quindi la fittezza ottimale va perseguita in partenza con il giusto numero di piante a m2.
Con un numero di piante a m2 inferiore all'ottimale la vegetazione non sviluppa un LAI sufficiente (almeno 5) a intercettare appieno la radiazione luminosa disponibile e quindi assimila meno di quello che potrebbe; inoltre il corrispondente basso numero di spighe a m2 (si ricordi che i mais attualmente coltivati sono monospiga) limita la capacità di «magazzino» (o «sink») delle piante.
Una fittezza eccessiva ha per effetto di ridurre la fertilità delle spighe fino alla totale sterilità, a causa dell'eccessivo ombreggiamento che subiscono le spighe situate, come sono, a circa metà altezza della pianta.
Fittezza di allevamento del mais in diverse condizioni di coltura
- In coltura principale irrigua per granella: da 6 a 8 piante a m2 (6 per varietà tardive, 7 per varietà medio-precoci, 8 per varietà precoci).
- In coltura principale asciutta per granella: da 2,5 a 4 piante o m2, secondo il clima e la freschezza del terreno.
- In coltura intercalare per granella: da 7 a 10 piante/m2 (la fittezza minore per le semine anticipate, la maggiore per quelle più tardive, ad es. dopo frumento.
- In coltura principale da foraggio a maturazione cerosa: 1 pianta in più della corrispondente fittezza per granella.
- In coltura intercalare da foraggio per raccolta alla fioritura («granturchino»): da 30 a 50 piante per m2.
Per avere l'investimento desiderato in passato si seminava fitto sulla fila eliminando poi con il diradamento manuale le piante nate in eccesso; oggi per evitare il diradamento si fa la semina adoperando la seminatrice di precisione, che deposita sulla fila un seme alla volta a distanza regolare prefissata.
Con la semina di precisione bisogna stimare al momento della semina quanti semi affidare al terreno per avere il desiderato numero di piante, bisogna cioè valutare le probabilità che un seme ha di dare una pianta viva e vitale. Tale probabilità varia con la germinabilità del seme, le condizioni fisiche del letto di semina, la temperatura e l'umidità del terreno, ecc.: in buone condizioni si può stimare necessario per il mais seminare un numero di semi del 10% superiore al numero desiderato di piante. Fallanze di maggiore entità vanno previste in caso di semina con temperature basse, su terreno secco o mal preparato.
Il numero di semi da seminare si calcola dividendo il numero di piante desiderato per il complemento a 100 della quota di fallanze stimata. Ad esempio, volendo 7 piante a m2 e prevedendo il 15% (o 0,15) di fallanze si avrà: 7/(1-0,15) = 7/0,85 = 8,2 semi a m2.
La distribuzione delle piante di mais sul terreno è fatta a file, distanti l'una dall'altra tanto da rendere possibile l'uso di tutte le macchine necessarie alla maiscoltura meccanizzata. In particolare l'impiego delle grandi macchine per la raccolta (spannocchia-sgranatricí) impone di lasciare tra le file 0,7-0,8 m (più comunemente 0,75).
Una volta stabilito il numero di semi da seminare per ogni m' e fissata la distanza tra le file, è facile determinare la distanza alla quale i semi dovranno essere deposti nel terreno. Ad esempio per avere 8 semi a m2 con file a 0,75 m la distanza di semina sulla fila sarà: cm2 10.000/8 = 1.250 cm2; cm2 1.250/75 = 0,167 m.
La quantità di seme necessaria per investire un ettaro di coltura dipende dalla fittezza di semina e dal peso medio di un seme; può variare da 15 a 24 kg ha-', anche se tale dato ha solo carattere indicativo in quanto i semi di mais si vendono a numero.
La profondità di semina deve essere uniforme ed oculatamente scelta: né eccessiva, sì da rendere difficile l'emergenza delle plantule, né troppo superficiale, da esporre i semi in germinazione al rischio di disseccamento. In media si consigliano 40-60 mm di profondità: 40 con terreno freddo e umido, 60 con terreno asciutto.
È opportuno che il seme sia trattato con prodotti fungicidi; i mais ibridi sono messi in commercio già «conciati».
Buona regola di prudenza è disinfestare il terreno dagli insetti terricoli. Insetticidi formulati in microgranuli possono essere localizzati nelle vicinanze dei semi (dalla seminatrice stessa) assicurando un'ottima protezione con minime quantità di insetticida.
La scelta della varietà è una delle più importanti condizioni dalle quali dipende il successo della maiscoltura.
Il carattere più importante che va preso in considerazione nella scelta dell'ibrido, in quanto determinante del suo adattamento ad un dato ambiente, è la precocità.
Nel caso di coltura a semina primaverile asciutta vanno scelti ibridi precocissimi (classi 200 e 300).
Nel caso di coltura irrigua e di semina normale l'ibrido dovrà essere scelto di ciclo di durata tale da sfruttare appieno la stagione favorevole, raggiungendo la maturazione fisiologica quando le condizioni di temperatura non consentono più una crescita apprezzabile. Nelle regioni italiane climaticamente molto favorevoli al mais, i tipi migliori sono gli ibridi delle classi 600 e finanche 700. Nelle regioni del Centro i risultati migliori si ottengono con ibridi medioprecoci (classi 4-500).
Nel caso di coltura intercalare vanno usati ibridi tanto più precoci quanto più ritardata è la semina (da 400 a 200).
Per le colture di mais da foraggio, nelle quali interessa l'intera massa della pianta e non solo la granella, e che vengono raccolte prima della maturazione fisiologica (alla maturazione cerosa o alla fioritura) si possono seminare ibridi decisamente più tardivi di quelli da granella.
La lotta alle erbe infestanti, la cui presenza causa gravi decurtazioni di prodotto tanto in coltura irrigua quanto asciutta, in passato era affidata alle sarchiature e alle scerbature, generalmente eseguite a mano e oggi non più proponibili.
Le sarchiature meccaniche non bastano a risolvere soddisfacentemente il problema delle erbe infestanti, infatti gli organi lavoranti della macchina sarchiatrice operano solo nell'interfila. Inoltre non sempre si riesce a entrare nei campi per sarchiare prima che il mais sia troppo cresciuto in altezza.
Ciò ha stimolato la ricerca di prodotti chimici dotati di potere erbicida che permettessero il controllo della vegetazione infestante il mais.
La coltivazione del mais ha avuto un'evoluzione rapida e profonda con il passare da ordinamenti colturali compositi e variati alla frequente successione a se stesso o addirittura alla monosuccessione. Ciò ha cambiato sia la composizione della flora infestante sia il modo di controllarla.
La flora infestante attuale è composta da poche specie dominanti perché si avvantaggiano della ripetizione del mais su se stesso per i loro meccanismi di sopravvivenza (ad esempio la sorghetta con i suoi rizomi) o perché resistenti ai principali erbicidi.
Il diserbo del mais è stato una pratica che ha incontrato tanto rapidamente e diffusamente il favore degli agricoltori da costituire un caso piuttosto raro nella storia dell'agricoltura.
Questo risultato è dovuto a un prodotto con eccezionali doti di efficacia erbicida e di selettività per il mais: l'Atrazina, che fu e rimase a lungo il diserbante più impiegato dai maiscoltori finché per ragioni di inquinamento delle falde acquifere non ne fu proibito l'uso.
Dopo la messa al bando dell'Atrazina, la ricerca chimica ha trovato numerosi principi attivi sostitutivi il cui limite è che nessuno ha uno spettro d'azione completo, per cui è necessario intervenire con principi attivi diversi o con trattamenti in epoche diverse o in miscele, sia estemporanee sia in formulazioni precostituite.
Diserbo pre-emergenza. Il diserbo pre-emergenza è stato quello predominante fin dall'inizio di questa tecnica ed è tuttora molto diffuso come intervento di base. Si fa al momento della semina, contemporaneamente a questa nel caso di diserbo localizzato sulla fila, o subito dopo la semina, comunque prima che il mais nasca.
I diserbanti da pre-emergenza sono ad azione antigerminello e residuali agendo per assorbimento radicale; essi si distinguono a seconda del loro spettro d'azione:
- efficaci su sole dicotiledoni;
- efficaci su dicotiledoni più monocotiledoni annuali.
Un modo per risparmiare e ridurre la quantità di diserbante è la localizzazione della soluzione erbicida alla semina su una striscia di 0,25-0,30 m lungo la fila, lasciando alle sarchiature il controllo della striscia interfilare non trattata.
Il diserbo pre-emergenza va escluso nei terreni umiferi, con oltre il 10% di sostanza organica, dove i principi attivi verrebbero disattivati per adsorbimento da parte della sostanza organica o per degradazione microbica.
Diserbo post-emergenza. Il diserbo post-emergenza generalmente si configura come complemento, integrazione o rimedio al diserbo fatto pre-emergenza, tenuto conto che l'efficacia di questo non è mai pari al 100% e che vi sono specie non controllate perché nate tardi o perché resistenti. I diserbanti di post-emergenza hanno azione fogliare e spesso vedono aumentata la loro efficacia erbicida dall'aggiunta di coadiuvanti, additivi o bagnanti.
Una recente famiglia di diserbanti ha allargato moltissimo le possibilità del diserbo post-emergenza dando soluzione a quello che era stato il difficile problema di controllare nel mais le infestanti graminacee annuali e soprattutto perenni: questa innovazione è costituita dalle solfoniluree (Rimsulfuron, Nicosulfuron, Primisulfuron).
Diserbo post-emergenza.
Dicotiledoni. In presenza di infestazioni di dicotiledoni annuali e perenni «facili» le soluzioni tecniche più rispondenti sono i diserbanti ormonici (l2,4D+MCPA) con mais allo stadio di 3-7 foglie; l'associazione a dicamba o altri principi attivi permette di controllare: convolvolo, stoppione, equiseto, e le nuove malerbe in via di diffusione stramonio e fitolacca.
Graminacee. Su graminacee annuali e sorghetta da seme è rispondente un trattamento con una solfonilurea; con sorghetta da rizoma possono essere necessari 2 trattamenti a distanza di 15 giorni.
Dicotiledoni e graminacee. Rimsulfuron e nicosulfuron controllano, oltre che le graminacee, anche la maggior parte delle infestanti a foglia larga, ma per allargare lo spettro d'azione verso queste ultime utile è l'associazione con dicamba o sulcotrione o terbutilazina o bromoxinil. In questo modo si può controllare la presenza anche delle dicotiledoni «difficili» già citate.
Mezzi agronomici per ridurre il problema delle infestanti.
Avvicendamento. Con l'avvicendamento colturale le infestazioni di malerbe del mais si attenuano o sono più facili da controllare. Ad esempio il rinettamento di un terreno fortemente infestato da rizomi di sorghetta può essere fatto interrompendo la monosuccessione di mais con un cereale vernino (frumento); questo, liberando il terreno presto in estate consente, con un'aratura profonda, di lasciare esposti a disseccarsi per tutta l'estate i rizomi della sorghetta; in caso di estate piovosa in cui la sorghetta avesse rivegetato, con un trattamento a base di Glifosate (o simili) possono essere devitalizzati anche i rizomi. Altro mezzo semplice per ottenere lo stesso risultato è di avvicendare periodicamente la soia al mais: nell'anno di coltivazione della soia il rinettamento del terreno dalla sorghetta potrà essere fatto agevolmente impiegando uno dei diserbanti graminicidi oggi disponibili.
Con varietà di mais transgenico, reso resistente a un diserbante totale, il controllo delle infestanti è piuttosto semplice: si tratta di aspettare che queste nascano e fare un trattamento a base di Glifosate o suoi derivati che devitalizzerà tutto salvo il mais.
- Diradamento.
È l'operazione con la quale in passato si dava alla coltura la giusta fittezza. Il diradamento va cominciato non troppo tardi, quando sono trascorse 3-4 settimane dalla nascita e le piantine hanno 3-4 foglie. Esso deve essere fatto a mano e pertanto risulta onerosissimo: 40-60 ore-uomo per ettaro.
Nella moderna maiscoltura intensiva il diradamento è reso superfluo dalla semina di precisione.
- Sarchiatura.
Un problema non ancora convenientemente definito è quello se si debba sarchiare nel caso che il diserbo abbia sortito piena efficacia nel controllare le malerbe.
Si ricordi che la sarchiatura consente di conseguire altri benefici effetti oltre al controllo delle erbacce, quali la riduzione dell'evaporazione e l'arieggiamento della rizosfera. Nelle terre leggere e nelle colture irrigue dove la maiscoltura è oggi prevalentemente concentrata, questi vantaggi sono poco importanti, per cui la sarchiatura tende a non essere più praticata essendo
stata sostituita dal diserbo quale mezzo di controllo delle erbe infestoti,
Con le già segnalate limitazioni all'uso di diserbanti efficaci è prevedibile che la sarchiatura del mais dovrà essere ripresa in considerazione come intervento ordinario, in sostituzione o a completamento del diserbo chimico.
Si tenga presente che i campi di mais sono agibili per le macchine finché le piante non superano i 0,6-0,7 m di altezza. Data l'alta velocità di crescita del mais in questo periodo, capita spesso di non riuscire a entrare in tempo nei campi.
- Rincalzatura.
È questa un'operazione consistente nell'addossare terra al piede delle piante di mais per favorirne la radicazione e, soprattutto, per rendere possibile l'irrigazione col sistema per infiltrazione laterale da solchi.
La rincalzatura, molto diffusa in passato, ha perso molta della sua importanza nella maiscoltura moderna. Infatti i suoi vantaggi sono discussi e. comunque, poco rilevanti, mentre essa porta a diversi inconvenienti, come quello di ostacolare la trinciatura degli stocchi.
Nel caso di sarchiatura meccanica, spesso risulta molto utile per controllare meglio le erbacce abbinare la rincalzatura alla sarchiatura (sarchia-rincalzatura), montando un organo rincalzatore dietro ogni organo sarchiatore; in questo modo si riesce a controllare, sotterrandole, le erbe infestanti presenti lungo la fila, nella striscia di terreno non smosso dai sarchiatori.
Il mais ha consumi idrici unitari non molto elevati, ma per sostenere la sua altissima produttività potenziale (20 e oltre t/ha di sostanza secca) sono richieste disponibilità d'acqua che solo in poche zone sono assicurate dalle riserve d'acqua del terreno e dalle piogge del periodo di crescita.
Si consideri che il mais svolge il suo ciclo nel periodo dell'anno in cui la piovosità è al suo minimo e la domanda evapotraspirativa è al suo massimo. Per questo la maiscoltura in Italia per essere veramente intensiva (com’è: le rese in Italia sono le più alte del mondo) non può prescindere dall'ausilio dell'irrigazione.
L'insufficienza d'acqua provoca sempre danni al mais che diventano di gravità eccezionale quando lo stress idrico capita nel momento estremamente critico della fioritura (corrispondente al mese di luglio, indicativamente) in questa fase l'appassimento anche temporaneo delle piante ha come effetto il fallimento dei processi fecondativi (mancata fecondazione o aborto degli ovuli) che si traduce nella riduzione talora anche totale del numero di cariossidi per spiga.
Il mais in coltura asciutta è quasi scomparso proprio per la aleatorietà delle sue produzioni legate alla aleatorietà delle piogge estive, in particolare nel momento della fioritura.
- Stagione di adacquamento. Un programma d'irrigazione che voglia coprire al meglio le esigenze di una coltura di mais deve prevedere che l'acqua non difetti nel periodo che va dalla emissione del pennacchio (circa due settimane prima della fioritura) fino almeno alla maturazione latteo-cerosa (circa 5-6 settimane dopo la fioritura) per una stagione irrigua di 50-60 giorni al massimo, situata nei mesi centrali dell'estate: luglio e agosto. In questo arco di tempo c'è una fase, quella di fioritura, che è caratterizzata da straordinaria sensibilità alla deficienza idrica e da gravissime conseguenze di questa sulla produzione. Questa fase, che in un campo di mais dura circa una settimana, è imperativo che si svolga in perfette condizioni idriche perché uno stress che in questo momento provocasse anche un lieve e momentaneo appassimento avrebbe come conseguenza l'infertilità di una quota altissima di ovuli della spiga, con proporzionale, irrecuperabile perdita di produzione.
Prima e dopo la fioritura la deficienza idrica riduce la capacità di assimilazione della coltura, ma non ha conseguenze così drammatiche come alla fioritura.
- Limitato sussidio irriguo. Se un'azienda avesse ridotte disponibilità d'acqua potrebbe limitarne il consumo abbreviando la lunghezza della stagione irrigua, riducendo il numero (non il volume!) degli adacquamenti, fino al limite di riservare un'unica irrigazione alla ricarica idrica del terreno all'inizio della fase di fioritura.
Un sussidio irriguo limitato nel senso ora indicato può considerarsi una interessante alternativa economica all'irrigazione totalitaria, che punta alle massime espressioni di produttività del mais, ma è molto onerosa. La diminuzione della produzione in termini economici può essere compensata dal risparmio d'acqua, d'energia e di lavoro per l'irrigazione, dal risparmio nella concimazione e nell'essiccazione, visto che con questo tipo di gestione le varietà consigliabili sono più precoci, più sobrie e di miglior qualità (esempio: mais vitrei).
- Volume di adacquamento. Ogni adacquata va fatta con il massimo di razionalità per evitare sprechi, insufficienze e inefficienze, sulla base di elementi tecnici precisi attinenti al terreno e alla coltura, dai quali dedurre il volume di adacquamento.
L'irrigazione deve essere fatta per tempo, prima che la coltura manifesti il benché minimo segno di sofferenza, quindi molto prima del punto di appassimento.
Il volume di adacquamento deve essere stabilito in modo da bagnare lo strato superficiale di suolo di 0,70 m circa di spessore.
- Turno. Il turno è l'intervallo di tempo che passa tra un'adacquata e l'altra. Una volta stabilito come si è visto il volume d'adacquamento, il turno sarà più o meno breve in funzione della evapotraspirazione della coltura nei giorni successivi all'adacquata. Così negli esempi fatti, il volume di 49 mm e 21 mm nei due terreni basteranno per 7 e 3 giorni, rispettivamente, ipotizzando una ETP di 7 mm al giorno.
L'irrigazione del mais è generalmente eseguita col sistema per aspersione (o a pioggia) o per infiltrazione laterale, da solchi.
L'irrigazione alla semina è necessaria nel caso di coltura intercalare per assicurare le nascite.
Mais da granella
Il mais da granella può essere raccolto dalla maturazione fisiologica in poi, sempre, comunque, con un'umidità troppo alta che rende necessaria l'essiccazione.
La raccolta può essere fatta in spiga o in granella.
Il primo sistema è quello tradizionalmente seguito quando si raccoglie a mano: le spighe vengono staccate dalla pianta, "scartocciate" (eliminando le brattee che le avvolgono), lasciate essiccare, per poi essere sgranate con macchina sgranatrice.
Il sistema più rapido e più universalmente diffuso di raccolta del mais è quello con macchina combinata, che esegue contemporaneamente la raccolta e la sgranatura.
Le mietitrebbiatrici da mais sono normali mietitrebbiatrici che per operare sul mais vengono munite di apposita testata spannocchiatrice.
Il momento ottimale per la mietitrebbiatura del mais è quando la granella ha un contenuto d'acqua del 24-26%. Granella più secca si sgrana con facilità sotto l'azione degli organi spannocchiatori e così va incontro a perdite. Granella più umida si distacca dal tutolo con difficoltà e si spacca facilmente (un prodotto di buona qualità non deve presentare più del 10% di semi rotti).
La più usuale stagione di raccolta del mais da granella va dalla seconda metà di settembre alla fine di ottobre (e oltre, se la varietà è resistente ai marciumi del fusto).
Essiccazione e conservazione.
Se la granella di mais viene adoperata in azienda per l'alimentazione del bestiame può essere conservata umida, insilata. Tre modalità possono essere seguite:
- conservazione di farina umida in silo a trincea;
- conservazione della granella intera entro silos metallici asfittici;
- conservazione della granella intera in comuni sili a trincea previo trattamento con acido propionico, che è un potente fungistatico; si considera che l'1% di acido propionico assicura la conservazione per un anno di granella con il 30% d'acqua.
Il caso più usuale è quello di granella da commerciare secca; essa deve avere non più del 13% d'acqua per poter essere immagazzinata senza autoriscaldamento e ammuffimento, anche se l'umidità standard commerciale è convenzionalmente 15,5%.
Quasi mai il mais è raccolto abbastanza secco, ma c'è quasi sempre bisogno di essiccarlo artificialmente in essiccatoi ad aria calda, aziendali o consortili. Si considera che un impianto aziendale sia economicamente giustificato solo se lavora almeno 400 t di mais secco all'anno.
Ammuffimento.
La granella del mais se conservata impropriamente, non abbastanza secca, è esposta ad un inconveniente, l'ammuffimento, che è comune a tutte le granaglie ma che nel mais assume una gravità tutta particolare perché l'agente è un fungo (Aspergillus) che produce una micotossina (aflatossina) di straordinaria tossicità.
Produzioni.
La resa «record» di granella secca di mais è di oltre 20 t/ha in Italia. La resa media italiana è tra le più alte del mondo superando alla data attuale oltre 9 t/ha. Tuttavia molte sono le aziende maidicole che realizzano ordinariamente su scala aziendale 10-12 t/ha e oltre.
In mancanza di irrigazione le rese sono molto più basse e soprattutto estremamente variabili da anno ad anno. Anche nel caso di semina ritardata la produzione è più bassa, tanto più bassa quanto più tardiva è la semina: nel caso di mais dopo frumento, quindi con semine ai primi di luglio, non si può contare che su rese dell'ordine di 4-5 t/ha di granella.
Sottoprodotti.
Oltre alla granella, la coltura del mais produce grandi quantità di sostanza secca (circa 12 t/ha per 10 t/ha di granella) sotto forma di steli, foglie, cartocci e tutoli che restano sul terreno dopo aver raccolto la granella. La destinazione di questi residui può essere l'interramento, previa trinciatura con trinciastocchi, o la raccolta con raccogliimballatrici per utilizzarli come foraggio (secco o insilato), lettiera o combustibile.
Utilizzazione. La granella di mais può essere utilizzata in varie forme e per vari usi e in ogni caso va sottoposta a qualche processo di lavorazione industriale.
La maggior parte del mais utilizzato per la mangimistica e per l'alimentazione umana viene trasformato per macinazione a secco. Con questa lavorazione si ottiene la separazione dell'embrione («germe»), della crusca dai tegumenti della cariosside e di sfarinati di diversa granulometria dall'endosperma.
Gli sfarinati derivanti da questo processo sono i seguenti:
- spezzature grosse (da 1/2 a 1/3 di chicco) o hominy, da sottoporre successivamente alla laminazione in fiocchi (corn flakes) per alimentazione umana o per mangimistica;
- spezzature fini o grits, per l'industria della birra in parziale sostituzione del malto d'orzo; per mangimi zootecnici;
- farine, per prodotti da forno.
Il germe è destinato all'estrazione dell'olio da cui si ottiene come sottoprodotto un panello proteico. La crusca ha destinazione zootecnica. Un altro tipo di lavorazione del mais è la macinazione ad umido con cui vengono macinate cariossidi macerate in acqua e si realizza la separazione dei seguenti prodotti e sottoprodotti: amido, glutine, acque di macerazione. germe, crusca.
L'amido è il prodotto più abbondante e importante; esso può essere utilizzato tal quale dopo essiccamento (amido nativo) o modificato mediante trattamenti chimici, fisici o enzimatici.
Per idrolisi acida e/o enzimatica si ottengono sciroppi di glucosio, destrosio, fruttosio (o isoglucosio) impiegati come dolcificanti, ingredienti nutritivi, fonte di zuccheri fermentescibili, ecc. nell'industria alimentare e farmaceutica.
Per trattamento a caldo in acqua e successiva essiccazione si ottiene amido pregelificato, che trova impiego nel settore alimentare (per dare consistenza e viscosità ai preparati «istantanei»: budini, salse, minestre) e nel campo industriale come collante e legante per la fabbricazione della carta, come appretto per tessuti, per la preparazione di forme a perdere in fonderia, per i fanghi da trivellazione.
Per il riscaldamento a secco dell'amido si ottengono pirodestrine, prodotti solubili in acqua che formano paste adesive, utilizzate come collanti nell'industria della carta e alimentare.
Per trattamenti chimici di vario tipo si ottengono amidi modificati, nei quali sono migliorate certe caratteristiche utili (miglior struttura dei granuli di amido, aumento della viscosità, minore opacità, ecc.) richieste dalle industrie alimentare, cartaria, tessile, metallurgica.
Il glutine di mais è un ingrediente per mangimi zootecnici, ad alto tenore proteico (60%).
Il concentrato delle acque di macerazione (corn steep liquor) contiene le sostanze solubili (azotate, glucidiche e saline) rilasciate dalle cariossidi durante la fase di macerazione; è usato nel settore mangimistico, in miscela con altri composti (crusca, ecc.), e nell'industria farmaceutica come substrato di fermentazione.
Il germe, una volta essiccato, viene sottoposto all'estrazione dell'olio.
La crusca va all'industria mangimistica come tale o arricchita con le acque di macerazione.
Produzione di "pastone integrale" o di "pastone di granella": nel primo caso si
raccoglie l'intera spiga con una trincia-caricatrice dotata di barra spannocchiatrice,
mentre una normale mietitrebbiatrice con opportune regolazioni dell'apparato di
battitura/separazione può dare sia il primo sia il secondo prodotto. La differenza tra i
due prodotti finali è la macinazione della granella prima di stivarla ai fini
dell'insilamento: il materiale raccolto con la trincia-caricatrice di solito passa
attraverso il rompi-granella, non viene macinato prima dell'insilamento ma viene
sminuzzato finemente al momento dell'utilizzazione per alimentare il bestiame. Le spighe
trebbiate presentano, invece, quantitativi variabili a piacimento di tutolo all'interno
della massa, e per un miglior compattamento in trincea si preferisce macinarla prima del
calpestamento. Al momento dell'utilizzazione, i due prodotti hanno proprietà alimentari
diverse e hanno anche campi d'impiego diversi. Il pastone integrale è preferito
nell'allevamento di bovini da ristallo, mentre il pastone di granella è preferito
nell'allevamento dei ruminanti da latte. Se il contenuto di tutolo in % sul totale è
basso, è possibile trovare il pastone di granella anche nella dieta dei suini.
Mais da insilato
Raccolta dell'intera pianta con una macchina falcia-trincia-caricatrice (dotata
possibilmente di apparato rompigranella per rendere l'amido più disponibile sia alle
fermentazioni microbiche ai fini della conservazione sia alle fermentazioni microbiche
ruminali o dei digestori degli impianti di biogas), a varie altezze dal suolo in funzione
del titolo di amido che si vuole ottenere nell'insilato integrale. Questo prodotto, dopo
un adeguato tempo di "stagionatura" dovuto alla fermentazione della massa in opportuni
silos orizzontali (una volta anche verticali) e al raffreddamento della stessa, viene
usato per alimentare i ruminanti (bovini, bufalini) o gli impianti di biogas. Questa
raccolta viene eseguita allo stadio vegetativo di maturazione cerosa, con un'umidità
della spiga tra il 32 e il 35%.
Limitazioni alla produzione del mais possono essere provocate da parassiti animali o vegetali e da avversità meteoriche.
In genere nella maiscoltura italiana i soli trattamenti che si fanno ordinariamente sono la concia della semente e la geodisinfestazione alla semina. Eccezionali sono trattamenti sulla coltura contro la piralide, oggi fattibili con bioinsetticidi a basso impatto ambientale a base di Bacillus thuringensis.
I ritorni di freddo e le precipitazioni prolungate dopo le nascite sono sfavorevoli allo sviluppo del mais che cresce debole ed eziolato.
Il vento impetuoso può provocare lo stroncamento delle piante indebolite da precedenti attacchi parassitari (piralide, marciumi).
I parassiti animali che danneggiano il mais possono essere ipogei o terricoli ed epigei; i primi attaccano la parte sotterranea, i secondi la parte aerea. Tra i parassiti ipogei vanno ricordati:
- le agrotidi (gen. Scotia) le cui larve brunastre di notte escono dal terreno e rodono le piante al colletto;
- gli elateridi (gen. Agriotes), le cui larve attaccano i semi in germinazione, le radici ed il colletto delle piantine;
- gli afidi radicali che formano colonie verde bluastro sulle radici determinando un forte ritardo nello sviluppo e un marcato ingiallimento e arrossamento delle foglie;
- le grillotalpe (Gryllotalpa gryllotalpa), che nei terreni umidi e ricchi di
humus rosicchiano i semi in germinazione e recidono numerose radici;
- le larve dei maggiolini (Melolontha melolontha), che si nutrono a spese del
l'apparato radicale.
Tra gli insetti epigei vanno ricordati la piralide (Pyrausta o Ostrinia nubilalis) e la sesamia (Sesamia cretica) i cui danni si confondono e si cumulano. Vengono danneggiate le foglie e, più gravemente, le spighe e gli stocchi che spesso si rompono sotto la spiga che quindi cade e sfugge alle macchine raccoglitrici.
- Recentemente è comparsa in Italia e sta prendendo piede in varie aree maidicole la
Diabrotica virgifera virgifera, un coleottero che allo stadio di larva rode il colletto e
le radici avventizie del mais e alla minima brezza interi ettari ed ettari si allettano
senza apparente motivo.
Le colture di mais possono essere danneggiate da:
- marciume dello stocco (Gibberella zeae, Fusarium moniliforme) che si rivela con un precoce imbrunimento dei primi internodi basali. La malattia è grave perché col vento le piante si piegano alla base, cosicché le spighe cadono a terra e non vengono raccolte dalla macchina raccoglitrice;
- elmintosporiosi (Helminthosporium turcicum e H. maydis) che si manifesta con la formazione sulle foglie di striature necrotiche confluenti, che possono portare al totale disseccamento della lamina;
- carbone (Ustilago zeae) che attacca tutti gli organi della pianta provocando tumori di varie grandezza che contengono una polvere nerastra costituita da spore. Le infezioni più appariscenti (ma sempre di scarsa gravità) sono quelle che colpiscono le infiorescenze;
- marciume del seme e della plantula: diverse crittogame (soprattutto Pythium) presenti nel terreno o nel seme possono colpire il mais in germinazione provocando avvizzimento e/o marciume basale del fusticino. I patogeni sono favoriti da terreno umido e freddo e da semina troppo profonda.
- Le varietà di mais transgenico autorizzate per la semina in Europa sono quelle selezionate in seguito all'introduzione di un complesso genico di resistenza alla Piralide (cioè nei tessuti vegetali viene prodotta anche una proteina simile a quella prodotta da un "anti-piralide" naturale, il Bacillus thuringiensis; appena la larva ingerisce una quantità adeguata di materiale vegetale, e di proteina, nel suo apparato digerente si sviluppa la sostanza attiva e la larva muore). Nel continente americano esistono gia da tempo in commercio sia varietà mono-carattere (esempio resistenza alla piralide, alla diabrotica, al gliphosate ecc.) sia varietà pluri-carattere (con più resistenze in contemporanea).
a cura di Elena Nelli, Francesco Sodi e Segnaboni Corrado