La zona di produzione del vino “Rossese di Dolceacqua” o “Dolceacqua” comprende in tutto i territori dei comuni, in provincia di Imperia, di Dolceacqua, Apricale, Baiardo, Camporosso, Castelvittorio, Isolabona, Perinaldo, Pigna, Rocchetta Nervina, San Biagio della Cima e Soldano, nonché la frazione Vallecrosia Alta, del comune di Vallecrosia, e quella di Mortola Superiore, S. Bartolomeo – Carletti, Ville, Calandri, S. Lorenzo, S. Bernardo, Sant’Antonio, Sealza, Villatella, Calvo-S. Pancrazio, Torri, Verrandi e Calandria di Trucco del comune di Ventimiglia, e quella parte del territorio del comune di Vallebona che è situata sulla riva destra del torrente Borghetto.
Nella seconda metà del XIII secolo, i vigneti, consociati sovente ai ficheti secondo il sistema
dell’“aggrego”, costituiscono ormai l’elemento predominante del paesaggio agrario nelle valli
intemelie tracciate dai corsi d’acqua Roia, Nervia e Verbone. Documentazione commerciale tra il
centro di Ventimiglia e il porto di Geova, risalente al 1258-59, cita quantità notevoli (oltre 21.000
lt.) di vino rosso “Vermiglio” certamente il primitivo modello dell’attuale Rossese, di cui si farà
menzione nei secoli seguenti. Le fonti rivelano anche l’ubicazione di molti terreni vitati in siti
tuttora riconoscibili: nella piana di Latte e sui declivi collinari che delimitano la valletta omonima, a
Roverino e Santo Stefano in Val Roia, a Seborino, San Pietro, Sant’Andrea e San Giorgio in Val
Nervia, a San Vincenzo e in Verbone lungo il torrente di Vallecrosia, a Borghetto e Vallebona
nell’immediato retroterra dell’abitato attuale di Bordighera.
A cavallo di Medioevo ed Età Moderna, al rosso “Vermiglio” si affiancano il “Rocesio” o Rossese
bianco e soprattutto il Moscatello o Moscato bianco, che rivaleggia con quello celeberrimo di
Taggia. Nei secoli XVII-XVIII l’espansione dell’olivo ridisegna il paesaggio agrario intemelio,
tuttavia l’incidenza della vite rimane molto forte nel territorio del Marchesato dei Doria di
Dolceacqua, dove si assiste al declino del Moscatello, che cede di fronte al considerevole afflusso di
vini d’oltralpe o spagnoli di maggiore qualità, e all’impianto del Rossese a bacca nera, di probabile
origine francese.
Nel corso dell’Ottocento, i vigneti si spostano in posizioni d’altura ben esposte al sole, radicandosi
nei luoghi che costituiscono le attuali “indicazioni geografiche” del Dolceacqua. Nel 1883, i borghi
facenti parte dell’attuale denominazione di origine producono circa 16.000 ettolitri di vino.
All’inizio del XX secolo, dopo l’impatto devastante della fillossera, la superficie vitata delle Valli
Nervia e Roia supera i 2.400 ettari, circa il 40% del totale provinciale, laddove la produzione, nel
1923, tocca il vertice di 36.000 ettolitri. Il Rossese alligna, come vitigno principale, in tutti i comuni
intemeli, ma registriamo pure la discreta presenza della varietà Massarda a bacca bianca. Intorno
agli anni Cinquanta, infine, nell’estrema area occidentale della provincia di Imperia vengono
fabbricati circa 7.000 ettolitri di Rossese, che ottiene lusinghieri apprezzamenti partecipando ai
concorsi enologici banditi dalla Camera di Commercio di Asti.
Grappolo di Rossese (foto www.maixei.it)
Base ampelografica
Il vino “Rossese di Dolceacqua” o “Dolceacqua” deve essere ottenuto dalle uve provenienti dai
vigneti composti dal vitigno Rossese. Possono concorrere alla produzione di detto vino le uve rosse,
non aromatiche, provenienti da vitigni, idonei alla coltivazione per la Regione Liguria, presenti nei
vigneti fino ad un massimo complessivo del 5%.
Il vino “Rossese di Dolceacqua” o “Dolceacqua”, all’atto dell’immissione al consumo, deve rispondere alle seguenti caratteristiche:
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol;
acidità totale minima: 4,5 g/l;
estratto non riduttore minimo: 23,0 g/l.
Il vino “Rossese di Dolceacqua” o “Dolceacqua” che si fregia della qualificazione aggiuntiva “superiore” all’atto dell’immissione al consumo deve avere un titolo alcolometrico volumico totale minimo del 13,00% vol.
Il vino “Rossese di Dolceacqua” o “Dolceacqua”, all’atto dell’immissione al consumo, deve rispondere alle seguenti caratteristiche:
colore: rosso rubino, granato se invecchiato;
odore: vinoso intenso, ma delicato, caratteristico;
sapore: morbido; aromatico, caldo.
Rossese di Dolceacqua: si abbina a carni rosse, selvaggina, coniglio, stufato. Temperatura di servizio 16° - 18°C.